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13 Giugno:
Sant' Antonio di Padova
Il piccolo Fernando
Dell'infanzia di Sant'Antonio di Padova si conoscono con certezza poche cose: il nome di battesimo Fernando (che significa "ardito nella pace") e la città natale Lisbona, che allora si diceva essere ai confini del mondo. Già sulla data di nascita non c'è accordo, anche se i più propendono per il 15 agosto 1195, giorno dell'Assunzione, deducendo tale data da quella della morte: 13 giugno 1231 e sottraendo ad essa gli anni della vita, trentasei, come si legge nel Liber miracolorum, scritto verso la metà del XIV sec. Appena nato, sua madre lo consacrò alla Vergine, quasi sapesse che sarebbe stato un prediletto di Maria, ne avrebbe predicato le glorie e con il nome di lei sulle labbra sarebbe spirato, e poco più che neonato gli insegnava ad amare Gesù e Maria. Così, già a cinque anni il piccolo Fernando cotò la sua castità a Dio e ben presto avrebbe abbandonato completamente la famiglia per il Santuario. A dieci anni entrò a far parte dei chierichetti della Cattedrale di Lisbona. Il demonio si rodeva della sua precoce santità, al punto che spesso lo tormentava con visioni spaventose, ma il fanciullo non si lasciava atterrire, anzi un giorno con un dito fece il segno di croce sopra un gradino dove stava pregando e nel gradino restò miracolosamente impresso, come scolpito, quel santo segno; baciò egli quella croce e il demonio restò confuso e vinto. Invano il mondo lo chiamava a sé con bugiarde promesse, illusorie visioni di onori e di gloria.
Canonico agostiniano
A quindici anni, Fernando fece il grande passo: entrò nel monastero agostiniano di San Vincenzo di Fora, dove i seguaci della regola di Sant'Agostino alternavano allo studio e al raccoglimento nel chiostro, la vita di parrocchia e l'apostolato tra la gente. La sua vocazione assume valore di scelta coraggiosa, perché egli ben sapeva quel che lasciava e quanto difficile fosse rinunciarvi senza l'aiuto di Dio. Così commentò egli stesso il suo ingresso in monastero nei suoi Sermoni: <<chi si ascrive a un ordine religioso per farvi penitenza, è simile alle pie donne che, la mattina di Pasqua, si recano al sepolcro di Cristo. Considerando la mole di pietra che ne richiudeva l'imboccatura, dicevano: chi rotolerà la pietra? Grande è la pietra, cioè l'asprezza della vita di convento: il difficile ingresso, le lunghe veglie, la frequenza dei digiuni, la parsimonia dei cibi, la rozzezza delle vesti, la disciplina dura, la povertà volontaria, l'obbedienza pronta... Chi ci rotolerà questa pietra all'entrata del sepolcro? Un angelo sceso dal cielo, narra l'evangelista, ha fatto rotolare la pietra e vi si è seduto sopra. Ecco l'angelo è la grazia dello Spirito Santo, che irrobustisce la fragilità, ogni aspderità ammorbidisce, ogni amarezza rende dolce con il suo amore>>.
Fernando diventa Antonio
Fernando rimase nel monastero per soli due anni, perché trovandosi troppo vicino alla casa paterna, riceveva spesso le visite di amici e parenti, attratti dall'amore e dalla venerazione che avevano per lui. Per liberarsi da queste cause di turbamento, decise di abbandonare la terra d'origine per servire il Signore in tranquillità, cambiando non ordine, ma residenza, spostandosi nel monastero di Santa Croce a Coimbra, dove rimase per otto anni al termine dei quali fu ordinato sacerdote. Aveva venticinque anni e già si andava diffondendo la fama della sua sapienza e della sua santità, alimentate anche dai primi fatti prodigiosi. Nel monastero di Coimbra aveva avuto una visione: un frate dal pallido volto di asceta gli era apparso e lo aveva invitato a vestire il saio francescano. Qualche anno dopo in visita ad Assisi, rivedrà quel volto magro: era il volto di Francesco, il santo fondatore. Intanto a migliaia di chilometri di distanza da Coimbra, viveva un altro grande santo, Francesco di Assisi, che proprio in quegli anni stava preparando una spedizione missionaria fra i musulmani d'Africa.
Nel 1219, passando per la Francia, la Spagna e il Portogallo, partirono alla volta del Marocco cinque suoi frati. Passarono anche a Coimbra, anticipati dalla fama del loro fondatore che aveva abbandonato la vita ricca e spensierata per dedicarsi completamente al Signore e ad essi aveva imposto di vivere in grande povertà, elemosinando per le strade e praticando alla lettera il Vangelo. Il loro sconfinato amore per Dio e per il prossimo conquistò immediatamente Fernando. Quando seppe, mesi dopo, del loro martirio in Marocco, ne rimase profondamente colpito e quando i loro corpi furono traslati a Coimbra ed esposti ai fedeli, lì, davanti a quei martiri prese una decisione che maturava da tempo: <<fratelli carissimi, con vivo desiderio vorrei indossare il saio del vostro Ordine...>>. Da Lisbona a Coimbra ed ora lungo le strade del mondo, la Provvidenza, seppur per gradi, lo aveva condotto alla scelta vocazionale definitiva. Lasciato il bianco saio agostiniano per quello grigio dei "poverelli" e volendo rimarcare con un gesto eclatante il radicale mutamento di vita, decise di cambiare il nome di battesimo: "muore" così Fernando e "risorge" Antonio, in omaggio al grande monaco orientale.
Verso il Marocco:
la malaria invece del martirio
Rivestito del ruvido saio di sacco dei seguaci di Francesco, il "rinato" Antonio si apprestava a lasciare il convento di Santa Croce, quand'ecco sulla soglia del monastero un monaco agostiniano gli urla: <<va', va' pure con loro che diventerai un santo!>>. E Antonio, di rimando: <<vorrà dire che quando sentirai che lo sono diventato ne loderai il Signore>>. Così se ne andò a piedi scalzi con un chiodo fisso: il martirio. Pochi mesi dopo, con i sandali ai piedi e con un compagno abbandonò l'Europa, alla volta del Marocco, ma ancora una volta i suoi piani, il poter convertire la terra d'Africa, erano destinati a scontrarsi con quelli di Dio! Appena sbarcato, per un mese fu costretto a letto da febbri malariche: non s'irritò, non si spaventò: pianse nel segreto del cuore lacrime di sangue e intense, però, la volontà di Dio lo chiamava altrove e si imbarcò di nuovo per tornare a Coimbra. Neanche stavolta il vento della Provvidenza soffiò per il verso giusto. Investita da una tremenda tempesta, la nave che lo riportava in patria ruppe le vele ed il timone. Smarrita la rotta e ormai alla deriva, lo scafo finì per arenarsi sulle coste di Messina. Soccorsi dai pescatori i due frati vennero portati in un vicino convento dei francescani.
L'incontro con San Francesco
Dai confratelli di Messina, Antonio apprese che nel mese di maggio, nella ricorrenza della Pentecoste, San Francesco avrebbe radunato tutti i suoi frati per il Capitolo Generale. L'invito a parteciparvi era esteso a tutti e tutti l'accettarono di buon grado, compreso Antonio, che aveva qualche motivo in più per gioirne: finalmente avrebbe conosciuto l'uomo sul cui esempio aveva intrapreso la via della povertà; in più naufragando in Sicilia era rimasto senza casa e senza superiori. Andando pellegrino ad Assisi avrebbe reso omaggio a Francesco e ritrovato il suo provinciale. Così, nella primavera del 1221, a piedi, accompagnato dai frati di Messina, Antonio cominciò a risalire l'Italia. Dopo mesi di cammino, giunse ad Assisi dove più di tremila frati presero parte al Capitolo Generale. Da Assisi passò in Romagna dove rimase per un anno nascosto e penitente nell'eremo di Montepaolo, fino al Capitolo di Forlì; non conosceva nessuno dei suoi nuovi confratelli ed essi non conoscevano lui. Questa circostanza lo rallegrò molto perché, finalmente, nessuno più gli avrebbe potuto ricordare il suo passato illustre, la sua origine nobile e i suoi trascorsi di dotto studioso: era un frate qualunque, per lo più straniero, e, nel nascondimento, incominciava una nuova vita. Era l'unico sacerdote del convento, perciò esercitava il suo ministero a servizio dei confratelli. Tuttavia, per essere veramente uguale a loro, si dedicava anche ai lavori più umili: cucinava, lavava, spazzava la chiesa.
Appena libero, però, si recava in una grotta nel bosco vicino e lì restava in preghiera e meditazione per ore e ore. Uscì da questo eremitaggio nel 1222, invitato ad un'ordinazione sacerdotale nella cattedrale di Forlì, durante la quale tenne una conferenza spirituale, meravigliando tutti per la profondità della sua scienza e per la meravigliosa acutezza con la quale discorreva dei più sublimi misteri. Fu, allora, ad unanimità di voti eletto predicatore. Da quel giorno, egli passò predicando ed operando miracoli in quasi tutte le città d'Italia e di Francia.
Predicatore in Francia
e ritorno in Italia
Gli fu ordinato di lasciare l'eremo di Montepaolo e di dedicarsi alla predicazione. Cominciò da Rimini, dove gli eretici avevano fatto numerosi proseliti e dove Antonio stupì tutti, predicando ai pesci del mare. Le notizie delle sue strabilianti prediche, dei suoi miracoli e prodigi giunsero all'orecchio di San Francesco, che chiese al suo "frate Antonio, mio vescovo" di insegnare teologia ai frati Minori di Bologna. Ma nel 1224 in obbedienza a papa Onorio III, Francesco decise d'inviare missionari nella Francia meridionale per convertire gli eretici e la scelta cadde subito su Antonio, per predicare contro l'eresia e insegnare teologia ai giovani francescani. In questa lotta contro l'errore, le armi della predicazione e dei miracoli ottennero grandi successi. La sua azione si sviluppò soprattutto in Linguadoca (Francia del Sud) fino che, divenuto padre custode dell'Aquitania, non fissò la sua residenza a Limoges, dove fondò un convento.
Intanto, la sera del 3 ottobre 1226, nella chiesetta della Porziuncola moriva San Francesco. La notizia della sua morte giunse ad Antonio, insieme all'invito di recarsi ad Assisi, dove si sarebbe svolto il Capitolo Generale per eleggere il successore. Nella città umbra, l'umile frate poté constatare la grande stima che ormai lo circondava e che si tradusse in un incarico di rilievo. Giovanni Parenti, il nuovo superiore, lo nominò Ministro Provinciale dell'Emilia, una delle più estese giurisdizioni dell'Ordine (comprendeva quasi tutta l'Italia settentrionale).
Padova, seconda patria
Antonio rivestì la carica di Ministro Provinciale tra il 1227 e il 1230. Furono anni di intenso lavoro, occupato come era a girare la sua vasta provincia, visitando i conventi, fondandone di nuovi e predicando alla popolazione. Il suo fisico già provato fu messo a dura prova, ma non di meno dovette lottare contro le difficoltà che la diffusione dell'eresia creavano alla sua opera di predicazione e di evangelizzazione.
Viaggiò molto: Rimini, Bologna, Conegliano, Venezia, Udine, Cividale, Gemona ed altri paesi del Friuli. Predicò molto: i Sermoni domenicali, scritti in questi anni, erano il frutto della sua attività di predicatore. Nel suo intenso viaggiare, nel 1228 giunse per la prima volta a Padova. Questa era una grande città, ricca di splendidi monumenti e con una prestigiosa università. I frati francescani risiedevano nel convento di Arcella, fondato, secondo la leggenda, da San Francesco, di ritorno dal suo fallito tentativo di missione in Egitto. Antonio fu loro ospite per alcuni mesi. Presso il convento dei Frati Minori c'era il monastero delle monache di Santa Chiara, che vennero affidate alle sue cure spirituali.
Nella primavera del 1228, chiamato dal Ministro Generale, fra Giovanni Parenti, che voleva consultarlo su alcune questioni riguardanti il governo dell'Ordine, Antonio si reca a Roma. Esauriti i compiti di consulenza, già sul punto di ripartire per Padova, fu trattenuto da papa Gregorio IX, cui era giunta la voce della sua santità. Il pontefice gli ordinò di predicare gli esercizi spirituali a lui e al collegio cardinalizio.
Inutile dire che le sue parole, i commenti ai testi sacri, le esortazioni alla santità, incantarono anche il papa e tutti i cardinali. Fu invitato allora a rimanere, per predicare alle folle di pellegrini giunti a Roma in occasione della Pasqua.
Conclusa la predicazione, si recò ad Assisi, per la solenne canonizzazione di Francesco. Ritornò, infine, a Padova, da dove continuava a viaggiare per predicare e visitare i conventi della provincia dell'Emilia. E' di questo periodo l'impegno contro l'usura e lo straordinario episodio del cuore dell'usuraio.
Nel 1230 fu convocato un nuovo Capitolo ad Assisi durante il quale Antonio fu sollevato dall'incarico di Ministro Provinciale, nominato "Predicatore Generale" e inviato a Roma per una nuova missione. Sul finire dell'autunno del 1230 giunse definitivamente a Padova, dove rimarrà fino alla morte, amando, riamato, questa città come una sua seconda patria.
Qui Antonio esercita con assiduità il suo ministero sacerdotale: soprattutto nella confessione e nella predicazione. Da ogni parte giungono i fedeli per ascoltare le sue prediche, per confessarsi, per chiedere un consiglio. Sant'Antonio è sempre disponibile, nonostante la sua precaria salute. Anzi affronta la fatica dei viaggi e spostamenti per andare a predicare dove lo chiamano. Inoltre scrive: completa i Sermoni domenicali e incomincia a scrivere i Sermoni per le feste dei Santi.
La Quaresima del 1231
Nella primavera del 1231 Antonio decide di predicare per tutti i giorni della Quaresima. Questa famosa Quaresima costituì la rifondazione cristiana di Padova, grazie alla predicazione quotidiana, alla catechesi e alle confessioni di massa. Questa sua opera fu l'inizio di un'evangelizzazione imponente in città e nei dintorni.
Uno dei temi principali della predicazione fu ancora una volta l'usura, una calamità che si abbatteva soprattutto sui più deboli. I poveri, i diseredati, i sofferenti, gli ultimi erano i prediletti di Sant'Antonio che si adoperava in tutti i modi per aiutarli. Risale a questo periodo l'episodio dei suoi rapporti con Ezzelino III da Romano, feroce tiranno di Verona.
Tra maggio e giugno si reca a Camposampiero, una cittadina poco distante da Padova, presso il Convento dei Frati Minori dove si verificò l'episodio dell'apparizione di Gesù Bambino. Se di notte rimaneva nella sua cella, di giorno Antonio abitava una cella costruita sopra i rami di un grande noce immerso nel bosco.
Nonostante la pace e la tranquillità, era tormentato dalla malattia in modo irrimediabile. Sentendo ormai vicino il momento della morte chiese di poter tornare a Padova. Il 13 giugno 1231 Antonio fu condotto su di un carro al convento dell'Arcella. Vi giunse nel caldo pomeriggio e fu trasportato nella sua cella. Ebbe ancora la lucidità di rivolgere alcune preghiere a Maria e al suo Figlio Gesù. Quindi spirò quando ormai il sole stava tramontando.
Alla sua morte seguirono degli scontri tra i frati e le monache dell'Arcella, i frati del convento di Santa Maria e i popolani dei vari quartieri: tutti volevano il corpo del Santo per onorarlo con una degna sepoltura. Dovettero intervenire le autorità civili ed ecclesiastiche: il podestà, il vescovo, il ministro provinciale del Nord Italia. Finalmente ci si convinse che prima di tutto andava rispettata la volontà di Antonio, il quale desiderava essere seppellito nella chiesetta di Santa Maria. Cosa che avvenne il 17 giugno 1231.
La canonizzazione
Fin dal giorno dei suoi funerali l'arca di marmo con il corpo di Antonio divenne meta di incessanti pellegrinaggi e neppure un anno dopo il 30 maggio 1232, papa Gregorio IX proclama Santo frate Antonio di Padova e fissa la sua festa il 13 giugno (anniversario della sua nascita al cielo). Si racconta che in quello stesso momento le campane di tutte le chiese di Lisbona suonarono a festa, senza alcun intervento di uomo. Fu quasi un segno del cielo per dare inizio ai festeggiamenti.
I simboli Antoniani
L’iconografia di sant'Antonio comprende un complesso di simboli: la giovinezza, il saio, il libro, Gesù Bambino, il giglio, la fiamma, il cuore, il pane. Essi esprimono sia una caratteristica della sua personalità (funzione di memoria), sia i doni e le qualità che gli ha attribuito la devozione popolare (funzione simbolica).
L’immagine più diffusa rappresenta Antonio nelle sembianze di un giovane religioso, con Gesù Bambino fra le braccia e un giglio in mano.
La giovinezza si collega con il personaggio ideale, puro, buono, che accoglie tutti.
Il saio francescano (bruno o nero) ricorda la sua appartenenza all'ordine francescano, ma con caratteristiche particolari. Alcuni pensano – erroneamente - che abbia fondato un suo ordine e lo collegano con difficoltà a san Francesco.
Il Gesù Bambino ricorda la visione che Antonio avrebbe avuto a Camposampiero.
Esprime, inoltre, il suo attaccamento all'umanità del Cristo e la sua intimità con Dio.
V. Carpaccio, sant' Antonio con libro e giglio, part. della pala con Madonna col Bambino tra santi, 1518 Il giglio rappresenta la sua purezza e la lotta contro il demonio, fin dall'infanzia.
La fiamma indica il suo amore per Dio e per il prossimo.
Numerosi ex voto sono a forma di cuore e, ancora in tempi vicini a noi, il reliquiario per l'apparato vocale (faringe) ritrovato intatto fra le reliquie di Antonio è stato eseguito in forma di fiamma.
Il pane ricorda la sua carità verso i poveri. L’immagine si collega con l'opera "Pane dei poveri di sant'Antonio", sempre viva e attuale.
Come pure si collega alla Caritas antoniana, che porta la solidarietà di sant'Antonio in tutto il mondo.
Infine, l'immagine più antica e più vicina alla realtà, è rappresentata dal libro, simbolo della sua scienza, della sua dottrina, della sua predicazione e del suo insegnamento sempre ispirato al Libro per eccellenza: la Bibbia.
L’amore espresso nella devozione
Oltre che nella preghiera personale, la devozione a sant'Antonio si è manifestata attraverso i secoli in alcune espressioni particolari che durano tuttora.
La mano sulla Tomba
Il gesto più caratteristico che i pellegrini compiono nella Basilica antoniana. Oltre ad esprimere il bisogno di un contatto concreto con il Santo, esso è un gesto di fiducia e di affidamento, accompagnato dalla preghiera silenziosa del cuore.
A focalizzare l'attenzione sul Santo non è tanto una statua o un'immagine, che pure non mancano, ma la sua stessa Tomba.
La Tredicina
Con questo termine si intendono innanzitutto i tredici giorni di preparazione alla festa di sant'Antonio che ha luogo il 13 giugno. La Tredicina si ripete ancora oggi nella Basilica e in altri santuari antoniani o chiese francescane, come pure privatamente in tante famiglie.
Ma con lo stesso termine si intende anche una preghiera articolata in tredici punti, che ripercorre a mo' d'invocazione gli aspetti più significativi della vita e della santità di Antonio, intercalandoli con le preghiere più comuni della pietà cristiana.
Il Transito
Celebrato un tempo con molte e varie preghiere e canti, il transito continua ad essere una cerimonia suggestiva. Esso ricorda gli ultimi momenti di vita terrena di sant'Antonio: avvertendo prossima la morte, egli s'era fatto portare su un carro trainato da buoi da Camposampiero a Padova, dove desiderava morire. Giunto all'Arcella fu però costretto a fermarsi e lì spirò serenamente, confortato dalla visione di Gesù.
La morte avvenne di venerdì, il 13 giugno 1231, sul far della sera. Per questo i frati della Basilica ogni venerdì sera, con una semplice ma toccante funzione, rievocano il momento del transito.
Il "Si quaeris"
Sono le prime parole latine con cui inizia la preghiera forse più nota in onore di sant'Antonio, quindi ricercata da tanti devoti che vengono al Santo e che è contenuta in vari opuscoli o libretti di preghiere, questo compreso.
Musicato da celebri compositori della Cappella Musicale dei Santo, il testo risale a fra Giuliano da Spira che lo compose nel 1235, come responsorio dell'Officio ritmico (oggi detto Liturgia delle ore) per la festa di sant'Antonio. Si chiama "responsorio" (dal latino respondère, cioè rispondere) in quanto a un solista, che proclama o canta un testo, risponde il coro con espressioni uguali o di analogo contenuto.
Benedizione degli oggetti
Nella Cappella delle benedizioni, i fedeli amano far benedire anche oggetti personali. Al di là delle inevitabili esagerazioni, non si può sottovalutare il bisogno di concretezza proprio della religiosità popolare e le dolorose esperienze che portano tanti fedeli a chiedere queste benedizioni. Spesso si tratta di oggetti religiosi che si vogliono portare a casa come ricordo duraturo e visibile dell'incontro di grazia avvenuto in Basilica; oppure da regalare ai propri cari per estendere anche a loro la protezione del Santo. Altre volte si tratta di foto di familiari drammaticamente colpiti da malattie o da disordine di vita; oppure di qualche indumento, cibo o bevanda da portare a chi lotta tra la vita e la morte.
I motivi che accompagnano questi umili gesti d’invocazione non sono rivelati completamente neppure al sacerdote. Certo che il valore della fede è fin troppo vivo e pressante da indurre a trascurare le numerose forme di leggerezza e la ripetitività.
IL PROTETTORE DEI BAMBINI:
Il Pane di Sant'Antonio
E’ una delle devozioni più diffuse. La sua origine è dovuta alla risurrezione di un bambino operata dal Santo.
Un giorno una mamma intenta alle faccende domestiche, non si era accorta che il figlio, di nome Tommasino, era caduto in una tinozza d’acqua. Quando la poveretta se ne accorse oramai era troppo tardi. A niente valsero gli aiuti delle persone sopraggiunte per tentare di salvare il bambino, oramai non c’era più niente da fare.
Allora la mamma di Tommasino fece un voto al Santo: di distribuire ai poveri tanto pane quanto pesava suo figlio, se glielo avesse riconsegnato sano e salvo. Questa devozione verrà in seguito chiamata “Pondus Pueri” = peso del bambino.
Mentre la donna non perdeva la fede e rinnovava con tutte le forze spirituali il voto a S. Antonio, il bambino improvvisamente gridò: aveva ripreso a vivere!… Il Miracolo era avvenuto!
Specialmente nelle regioni meridionali del nostro Paese, è tuttora ben viva l’antica tradizione di far benedire i pezzi di pane per poi regalarli a parenti e amici o consumarli in famiglia, avendo cura di non perderne una sola briciola.
Era anche molto in uso, il voto di far indossare per 5 anni il saio francescano (come quello che indossava il Santo padovano), ai bambini che erano scampati ad un pericolo mortale: malattie, febbri, incidenti, ecc.
Il Santo da Padova è anche il protettore degli orfani e dei bambini poveri; anche in alcune ninne-nanne, il Santo viene nominato più volte.
I messaggi:
supplica a sant'Antonio
Moltissimi devoti scrivono a sant'Antonio. "Quando vai alla Tomba di Sant’Antonio avresti molte cose da dire. Non riesci a dirle perché nemmeno lì c’è il tempo. C’è tanta gente che come te ha tantissime cose da confidargli. Vorresti lasciar lì qualcosa di tuo. Che stesse lì, al posto tuo. Per esser ricordato. Per prolungare un dialogo che il tempo, la fretta interrompono troppo presto."
È una delle confidenze dei devoti che lasciano un loro scritto, una preghiera, una supplica, un messaggio, rivolti a sant'Antonio. Sono messaggi che evocano una confidenza enorme, spontanea, che non conosce confini di lingua o di nazione.
In fondo alla Basilica i devoti trovano una speciale cartolina, che possono scrivere per affidare a sant'Antonio quanto sta loro più a cuore. Una volta scritta, essi la lasciano sotto la Tomba di S. Antonio. È un segno estremamente personale, che sta lì, insieme con sant’Antonio. Quasi a custodire e a prolungare i pensieri dei devoti, che comunque essi portano a casa. Dopo averli condivisi e affidati.
Fonte: santantonioviareggio.it - santantonio.org - imperialclub.net Edited by francesina63 - 25/4/2023, 22:09
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