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Sanremo 2014, abbiamo ascoltato tutte le canzoni dei Campioni. La recensione brano per brano Contemporaneità: è ancora questa la parola d’ordine di Fabio Fazio, che con il suo team di autori, oggi a Milano, ha presentato alla stampa le 28 canzoni dei «Campioni» in gara a Sanremo. Dopo il successo dello scorso anno, Fazio ha deciso di continuare con coerenza a proporre la sua idea di Festival: «Abbiamo preso in considerazione le canzoni, non il cast» ci racconta il conduttore. «Le canzoni del Festival devono essere “immediatamente scaricabili”». Una continuità con l’edizione 2013 ma, secondo le stesse parole di Fazio, «stavolta ci siamo spinti un po’ più in là. I cantanti porteranno la musica, allo spettacolo ci penseremo noi».
Ma come sono queste 28 canzoni? Abbiamo avuto la possibilità di ascoltarle una sola volta. Unica eccezione, Giusy Ferreri, che non ha potuto presentare i due brani alla stampa per gravi ragioni familiari.
Un singolo ascolto, ovviamente, non è sufficiente a giudicare appieno le potenzialità di un brano. Nel frattempo, però, ci siamo già fatti qualche idea. Ecco cosa abbiamo sentito nelle canzoni dei Campioni in gara a Sanremo.
Arisa
Due brani piuttosto diversi per Rosalba Pippa in arte Arisa, soprattutto da un punto di vista esecutivo e vocale. «Lentamente», scritto dalla cantautrice Cristina Donà, è attraversato da un ritmo di marcia che ricorda il «Bolero» ed è una ballad originale in cui ritroviamo immagini di ispirazione surrealista («Quell’orologio fermo da un po’ / si è sciolto sopra il letto»).
Il secondo, «Controvento», è più ritmato e si configura come una canzone pop a tutti gli effetti, con un arrangiamento particolare in cui spicca l’uso dell’oboe a introdurre le strofe; in generale è un brano più «aperto» anche da un punto di vista vocale.
Cristiano De André
A fare da collante ai pezzi di De André c’è la presenza del parlato e, ovviamente, il tono baritonale del cantautore genovese. Che proprio alla sua città dedica «Invisibili», il cui ritornello è proprio in dialetto, e dove si recita il verso «A Genova si moriva a vent’anni / ma senza diventare mai degli eroi». Il brano è ritmato, con sonorità acustiche caratterizzate dall’uso degli archi e del pianoforte.
Più vicino alla canzone sanremese «Il cielo è vuoto», che porta tra le altre la firma di Dario Faini: è uno dei tre pezzi da lui co-firmati in questo Festival. Il brano parte da una marcia lenta con un beat leggermente elettronico e porta a un coinvolgende crescendo orchestrale nel ritornello. Suggestivo il testo, secondo cui il cielo è vuoto «perché l’immaginazione ha bisogno di spazio».
Raphael Gualazzi e Bloody Beetroots
L’incontro tra il pianista urbinate e il dj, uno dei più richiesti al mondo, ha portato una ventata di modernità nel suono di Gualazzi. Il primo brano, «Tanto ci sei», è una trascinante ballad elettronica segnata dall’utilizzo del piano elettrico Rhodes: il ritornello si avvicina quasi al gospel, alla fine ritroviamo anche un inciso di jazz suonato al pianoforte. Il testo è firmato da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
Anche «Liberi o no» ha decise venature gospel (è un coro spiritual ad aprirlo e chiuderlo) ed è sempre accompagnato da un importante presenza del beat «electro». Ma stavolta si balla: il brano ha un ritmo vicino alla disco e Gualazzi lo accompagna con il falsetto, cantando «Come un brivido che cambia e si trasforma / un mondo libero splende in noi».
Frankie Hi-nrg Mc
Il rapper torinese promette (e mantiene) una svolta: non ci sono più la politica o il sociale al centro dei pezzi presentati al Festival. «Pedala» è un rap con sonorità reggae il cui testo sfoggia un completo e ricchissimo armamentario ciclistico: la vita è attraversata dalle nostre biciclette, metafora delle fasi della nostra esistenza.
«Un uomo è vivo» è il secondo brano, dove Frankie canta a tutti gli effetti, non limitandosi a rappare, e dove riflette sul rapporto con i propri genitori: «C’è un istante nel quale ogni uomo diventa la madre» recita il ritornello. E se l’attacco può ricordare lo stile di certi brani di Tiziano Ferro, l’artista che viene in mente ascoltando il resto della canzone è Jovanotti.
Noemi
I due brani portati a Sanremo da Noemi portano l’influenza della loro realizzazione londinese, soprattutto «Bagnati dal sole», un pezzo nello stile della cantante ma accompagnato da un tappeto sonoro macchiato di elettronica e, verso la fine, da un coro.
Caratteristica, questa, più evidente in «L’uomo è un albero», in cui è proprio un coro a suggerire, accanto al testo («Per me è un uomo è un albero / per me un uomo è un’idea» l’ispirazione africana del brano, interpretato con una vocalità più vicina al soul.
Giuliano Palma
Non smentendo lo stile che l’ha reso famoso, Palma porta a Sanremo due pezzi decisamente rétro. Il primo, «Così lontano», è un brano reggae tutto in levare dove si distingue perfettamente lo stile della co-autrice Nina Zilli. C’è tutto il corredo Anni 60, dagli ottoni alle chitarre surf, in un pezzo che potrebbe diventare la canzone dell’estate 2014.
Molto rétro anche la seconda canzone, «Un bacio crudele», con un ritornello che rimane in mente («Non posso spiegare / un bacio crudele») e un ritmo molto più veloce e movimentato: un pezzo da ballare.
Perturbazione
La band di Rivoli esordisce a Sanremo con due brani che si rifanno alle sue due anime. «L’unica» è un brano dal ritmo veloce e dalle sonorità elettropop che ricorda lo stile del loro ultimo disco «Musica X»: il testo, originale e ironico, presenta strofe introdotte da nomi femminili, e il ritornello recita «Muoio già dalla voglia / di ricordarti a memoria».
Si ispira al luogo di ritrovo italiano per eccellenza «L’Italia vista dal bar»: il secondo pezzo dei Perturbazione a Sanremo ci descrive così, «poeti, santi ed avventori / e mediamente eroi». La canzone ha uno stile più vicino a vecchi brani della band, un pop rock in cui è decisivo l’intervento del violoncello e degli archi. La frase più azzeccata del testo: «Ci dev’essere un nesso / tra la felicità e l’espresso».
Francesco Renga
Renga torna a Sanremo con due brani scritti da altrettanti pezzi grossi della canzone. Elisa Toffoli è l’autrice di «Vivendo adesso», canzone in cui si ritrova lo stile compositivo della cantante friulana, che Renga fa sua nell’attacco dei ritornelli, dove si lascia per qualche secondo la sua voce senza accompagnamento, prima di aprire a un ritornello molto orchestrale.
Con il secondo brano «A un isolato da te», invece, l’autore Roberto Casalino cerca di fare il bis dopo la vittoria di «L’essenziale» di Marco Mengoni. E potrebbe farcela: è una canzone sanremese da manuale, con tanto di vocalizzo da canticchiare sul ritornello e un testo scritto con grande cura. «Hai mai sentito dire che l’amore vive a un isolato da te?».
Ron
Diciotto anni dopo la sua vittoria con «Vorrei incontrarti tra cent’anni», Ron propone al Festival due brani molto diversi tra loro. «Un abbraccio unico» ha uno stile più vicino alla melodia sanremese, con l’intro di piano e un continuo crescendo fino al finale. È una canzone d’amore in cui si suggerisce l’immagine di uno «sguardo complice che non trova mai le parole».
Ha un titolo inglese, invece, il secondo pezzo, e non a caso: «Sing in the rain», con il suo ritmo più movimentato, il suo fischiettio che lo accompagna e l’uso del banjo, sembra rifarsi al folk pop anglossassone, tra Mumford & Sons e James Blunt.
Renzo Rubino
L’unico giovane dello scorso anno «promosso» nei Campioni porta ancora una volta a Sanremo l’originalità un po’ teatrale del suo stile canoro. Il primo pezzo si intitola «Ora», è ritmato e ironico come quello di un giovane Renato Zero («Ora che stai pensando / fermati e datti un voto») e nel ritornello troviamo anche l’intervento un po’ «vecchio stile» di voci femminili.
Più intimo il secondo brano «Per sempre e poi basta», una ballad a tutti gli effetti, costruita sul pianoforte, su un testo ricco di metafore, e una struttura scomposta davvero inusuale. «Solo un’altra canzone / poi cancellerò il tuo nome».
Antonella Ruggiero
È una sorta di lento tango il primo brano dell’ex cantante dei Matia Bazar, aperto dal suono di una fisarmonica a cui, a metà, si aggiunge un’orchestra di violini. «Quando balliamo», però, fa spazio anche a un sottofondo elettronico. Il testo è firmato da Simone Lenzi dei Virginiana Miller: «Mi innamorerò di te / tutti i santi giorni» recita.
Il secondo pezzo «Da lontano» permette alla Ruggiero, più che il precedente, di tirare fuori tutta la sua (leggendaria) voce, ispirata allo stile vocale del passato; ancora una volta, i suoi virtuosismi sono accompagnati, senza troppo ingombro, da un tappeto elettronico.
Francesco Sarcina
Impossibile non riconoscere in «Nel tuo sorriso» il cantante della band Le Vibrazioni: dedicato a suo figlio («Torna il sorriso sul mio volto ad ogni tuo respiro»), è un brano rock orchestrale e contiene l’unico autentico assolo di chitarra elettrica di questo Sanremo.
La chitarra è presente e centrale anche nel pop rock (di ispirazione Anni 90) del suo secondo pezzo «In questa città», dove Sarcina canta «voglio vivere e contraddistinguermi / come fosse il primo giorno insieme a te».
Riccardo Sinigallia
Infine, il cantautore ed ex autore dei Tiromancino presenta in primis «Prima di andare via», pezzo acustico e ritmato, che ricorda molto lo stile della band di Federico Zampaglione e con cui Sinigallia porta con grande personalità a Sanremo la bandiera e la nuova tradizione del cantautorato romano. È sostenuto da un beat più elettronico, invece, il secondo brano, introdotto dalla centralità del basso, intitolato «Una rigenerazione», parola ripetuta con efficace insistenza alla fine del pezzo.20 gennaio 2014 Scritto da: Francesco Chignola
Nelle melodie trionfa solo l'amore TANTA melodia, perfino troppa, e almeno in questo l’effetto talent si sente, e pochissimi riferimenti al mondo che ci circonda. Le canzoni del 64mo festival di Sanremo prossimo venturo (dal 18 al 22 febbraio) non brillano per attualità, almeno nelle tematiche. A meno che non prendiamo come tale l’amore vissuto all’ombra della desolazione esterna, così come lo canta in Prima di andar via Riccardo Sinigallia, uno degli outisider di questo strano cast festivaliero, o più direttamente L’Italia vista dal bar cantata dai Perturbazione (“e questi siamo noi, poeti santi avventori, e mediamente eroi”) anche se il loro bar potrebbe essere comodamente un bar di trent’anni fa, o ancora l’ossessiva pedalata di Frankie Hi Nrg, l’unico rapper in rappresentanza storica del genere che ormai furoreggia ovunque, che nella incalzante Pedala, macina metafore a ripetizione e racconta il paese come una kermesse paranoica di gente che corre, non si sa bene verso dove.
Se proprio volessimo cogliere uno Zeitgeist, uno spirito del tempo, da questa manciata di canzoni, come ha chiosato il direttore artistico Mauro Pagani, dovremmo estorcerlo da una certa propensione a voler vedere un che di positivo a tutti i costi, in un sorriso, in un uomo-albero (così canta Noemi), alla fin fine nell’amore, che tanto lì si arriva comunque, a dispetto dell’evidenza del paesaggio circostante. Questo sì le canzoni del festival lo raccontano, di striscio, di sghimbescio, ma certo pare un po’ pochino in un periodo storico che dal mondo della canzone meriterebbe ben altre intuizioni. Di eleganza ce ne sarà, certo, vedi i gorgheggi fatati della Ruggiero che ammalia soprattutto in Quando balliamo, con un tocco di fisarmonica su suoni elettronici, o nel bolero firmato Cristina Donà che canta Arisa, e perfino nell’uomo-albero di Noemi.
E questo vale per una canzone su due, comunque, perché, non dimentichiamolo, ogni cantante in gara di canzoni ne porta due, idea che seppur nata con intenzioni più che meritevoli, si sta rivelando decisamente dissennata, per almeno un paio di ragioni. Primo perché di questi tempi trovare una canzone decente sembra già un’impresa, e quindi con due la fatica è doppia, secondo perché la tipica umoralità del voto, com’è successo l’anno passato, può penalizzare le migliori e premiare le peggiori, danneggiando artisti, il festival e alla lunga lo stesso pubblico. Anche la Ruggiero si allinea a questa visione indiretta quando canta: “Il sereno si intravede già, i temporali si allontanano”, a cui fa eco Ron che in Un abbraccio unico, con tono squisitamente dalliano (nel senso di Lucio Dalla) canta: “so che prima o poi le cose cambiano, e troveremo il modo per uscire, ci abitueremo presto a un’altra situazione”.
Un po’ di vivacità la porta Giuliano Palma, altro outsider di lusso, e una certa quota di rock sanguigno, per il resto del tutto assente, la porta Francesco Sarcina, ex Vibrazioni, che brilla per intensità e slancio (“il mio cuore è quello di un guerriero che difende il mondo intero”), per non dire di Renga il cui slancio interpretativo è proverbiale e lo conferma soprattutto su un buon pezzo di Elisa intitolato Vivendo adesso.
Tante donne, questo è vero, tra autrici e cantanti, e la quota rosa si arricchisce ulteriormente con Giusy Ferreri, i cui pezzi però non sono pervenuti causa problemi familiari che le hanno impedito di terminare il lavoro. Ma la vera sorpresa, l’unica del resto, è Raphael Gualazzi, che in vena di dissennata follia ha deciso di mettersi insieme ai Bloody Beetroots, alias “l’uomo mascherato” Bob Cornelius Rifo, e propone il soul graffiante e tecnologico di Tanto ci sei (testo di Giuliano Sangiorgi) e la travolgente dance di Liberi o no, roba da saltare tutti per aria a ballare, e che questo debba accadere con Gualazzi è uno dei misteri, ma in questo caso piacevole, del festival.
Menzione a parte la merita Cristiano De André, pupillo di Fazio e Pagani che con Invisibili ha costruito un inquietante dialogo con un personaggio nel quale in parte si potrebbe intravedere il padre (“tu abitavi in via dell’amore vicendevole, e io qualche volta passeggiavo da quelle parti lì, tu camminavi nell’inquietudine, e la mia incudine era un cognome inesorabile, un deserto di incomunicabilità, tu eri fortissimo a inventarti la realtà, io liberissimo di crederla o non crederla”). Almeno qui, qualche parole d’autore, nel nome del padre.Fonte: sorrisi.com - repubblica.it Edited by francesina63 - 24/7/2023, 17:25
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