Parole d' Amore tra Padri e Figli

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view post Posted on 13/3/2016, 14:17     +1   -1
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Parole d'Amore tra Padri e Figli

Racconti e Lettere


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A mio Padre

Da "Il tempo che vorrei"




Fabio Volo

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Sono figlio di un padre mai nato.

L’ho capito osservando la sua vita.
Da che ho memoria non ricordo di aver mai visto il piacere nei suoi occhi:
poche soddisfazioni, forse nessuna gioia.
Questo mi ha sempre impedito di godere pienamente della mia, di vita.
Come può infatti un figlio vivere la propria se il padre non ha vissuto la sua?

Qualcuno ci riesce, ma è comunque faticoso.
E’ un’officina di sensi di colpa che lavora a pieno ritmo.
Mio padre ha sessantasette anni, è magro e ha i capelli grigi.
E’ sempre stato un uomo pieno di forza, un lavoratore.
Ora però è affaticato, stanco, invecchiato.
E’ stato deluso dalla vita.
Così deluso che quando ne parla spesso si ripete.
Vederlo in questa condizione scatena in me un forte senso di protezione.
Mi intenerisce, mi dispiace, vorrei fare qualcosa per lui, vorrei aiutarlo in qualche modo.
E mi sento male perché mi sembra di non fare mai abbastanza, di non essere mai abbastanza.
Spesso, soprattutto negli ultimi anni, lo osservo di nascosto.
Lo guardo con attenzione e solitamente finisce che mi commuovo senza una ragione valida,
se non per quel groviglio interiore che provo da sempre e che mi tiene legato a lui.
Abbiamo avuto una relazione difficile e il nostro è quel tipo di amore
che solamente chi ha avuto il coraggio di odiarsi può conoscere.
Quell’amore vero, guadagnato, sudato, cercato, lottato.

Per imparare ad amarlo ho dovuto fare il giro del mondo.
E più mi allontanavo da lui, più in realtà mi stavo avvicinando.
Il mondo è tondo.
C’è stato un lungo periodo in cui non ci siamo parlati.
E non parlare con un genitore significa avere ginocchia fragili,
significa aver bisogno all’improvviso di sedersi un attimo.
Non perché ti gira la testa, ma perché ti fa male lo stomaco.
Mio padre è sempre stato il mio mal di pancia.
Per questo ho iniziato ad amarlo veramente
solo dopo che sono riuscito a vomitare tutta la mia rabbia,
il mio odio e il mio dolore, visto che molte di queste sensazioni portavano il suo nome.
Quand’ero piccolo volevo giocare con lui, però il suo lavoro lo portava sempre via.
Lo ricordo soprattutto in due situazioni:
mentre si preparava per andare al lavoro o mentre riposava stravolto dal lavoro.
In ogni caso dovevo aspettare: io per lui arrivavo sempre dopo.
Mio padre mi è sempre sfuggito, e ancora oggi è così.
Prima me lo portava via il lavoro, ora piano piano me lo sta portando via il tempo,
un avversario con cui non posso misurarmi, con cui non posso competere.
Per questo, ora, vivo la stessa sensazione di impotenza che provavo da bambino.
Soprattutto negli ultimi anni, ogni volta che lo vedo mi accorgo che è sempre più vecchio,
e lentamente, giorno dopo giorno, sento che mi scivola via dalle mani.
E ormai non mi resta che stringere forte la punta delle sue dita.
All’età di trentasette anni, guardando quest’uomo mai nato,
mi viene in mente la frase che Marlon Brando aveva appesa in camera:
“Non stai vivendo se non sai di vivere”.
Ancora oggi mi chiedo cosa posso fare per lui.
Anche se adesso lo vedo fragile, indifeso, invecchiato,
anche se ormai sembro più forte di lui, in realtà so che non è così.
E’ sempre più forte di me.
Lo è sempre stato.
Perché a lui basta una parola per farmi male.
Anzi, anche meno: una parola non detta, un silenzio, una pausa.
Uno sguardo rivolto altrove.
Io posso sbraitare e dimenarmi per ore, passare alle ingiurie,
mentre a lui per stendermi basta una piccola smorfia, fatta con un angolo del labbro.
Se nella vita da adulto lui è stato il mio mal di pancia, da bambino era il mio torcicollo.
Perché facevo sempre tutto con la testa rivolta verso di lui, verso un suo sguardo,
una sua parola, una semplice risposta.
Ma la sua reazione era sbrigativa:
una spettinata breve ai capelli, un pizzicotto sulla guancia,
il disegno che avevo fatto per lui appoggiato velocemente alla credenza.
Non poteva darmi nulla di più perché non solo mio padre non si è mia reso conto dei miei dolori,
delle mie necessità e dei miei desideri, ma non si è mai reso conto nemmeno dei suoi.
Non è mai stato abituato a esprimere i sentimenti, a prenderli in considerazione.
Per questo dico che non ha mai vissuto veramente.
Perché si è fatto da parte.
Forse per questo motivo anch’io stupidamente
non l’ho mai visto come una persona che potesse avere desideri, delle paure, dei sogni.
Anzi, sono cresciuto senza pensare che fosse una persona:
era semplicemente mio padre, come se una cosa escludesse l’altra.
Solo diventando grande e dimenticandomi per un istante di essere suo figlio
ho capito com’è realmente, e l’ho conosciuto.
Avrei voluto essere grande da piccolo per parlare con lui da uomo a uomo,
così magari avremmo potuto trovare una soluzione ai nostri problemi,
una rotta diversa da percorrere insieme.
Invece, adesso che ho capito molte cose di lui, ho la sensazione di essere arrivato tardi.
Di aver poco tempo.
Ora, mentre lo osservo, ho la piena certezza di sapere cose di mio padre che nemmeno lui sospetta.
Ho imparato a vedere e a capire ciò che nasconde dentro di sé e che non è in grado di tirare fuori.
A quest’uomo per anni ho chiesto amore in maniera sbagliata. Ho cercato in lui quello che non c’era.
Non vedevo, non capivo, e adesso un po’ me ne vergogno.
L’amore che mi dava era nascosto nei suoi sacrifici, nelle privazioni,
nelle infinite ore di lavoro e nella scelta di caricarsi di tutte le responsabilità.
A guardare bene non era nemmeno una scelta,
forse quella era la vita che tutti avevano fatto prima di lui.
Mio padre è figlio di una generazione che ha ricevuto insegnamenti chiari ed essenziali:
sposarsi, fare figli, lavorare per la famiglia.
Non c’erano argomenti diversi su cui interrogarsi, solo ruoli prestabiliti.
E’ come se si fosse sposato e avesse fatto un figlio senza averlo desiderato mai veramente.
Sono figlio di un uomo che è stato chiamato dalla vita alle armi,
per combattere una guerra privata: non per salvare il paese ma per salvare la sua famiglia.
Una guerra fatta non per vincere, ma per pareggiare i conti, per sopravvivere.
Per tirare avanti.

Amo mio padre.
Lo amo con tutto me stesso.
Amo quest’uomo che quando ero piccolo non sapeva mai quanti anni avevo.
Amo quest’uomo che ancora oggi non riesce ad abbracciarmi,
che ancora oggi non riesce a dirmi:
”Ti voglio bene”.
In questo siamo uguali.
Ho imparato da lui.
Nemmeno io riesco a farlo.


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Edited by francesina63 - 21/4/2018, 14:02
 
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view post Posted on 18/3/2016, 22:35     +1   -1
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Cuqc5TM

Lettera di un Padre

alla Figlia


Cuqc5TM

Le parole non nascono per caso.
I nomi non nascono per caso.
Attendere.
Quanto sono profonde le cose lo capisci solo quando ti manca il fiato.
Come trascorrere nove mesi ad attendere tua figlia.
Dolce attesa.
Anche quando è amara.
Piena di preoccupazioni, paure, ostacoli, sfide.
E’ dolce l’arrivo, ma questo lo capisci solo quando lo raggiungi.
E’ dolce guardare quell’esserino che ti sembra impossibile
sia stato davvero per nove mesi dentro quella pancia,
e che ha rappresentato il punto di domanda più grande della tua vita.
E poi ti ritrovi con la risposta tra le mani:
ricordo il respiro che ti allargava il petto,
fragile e invincibile allo stesso tempo, come la vita, Matilde.
I tuoi polmoni che si gonfiavano come un palloncino pronto a scoppiare.
Eri nata da un minuto e piangevi con una bolla di saliva in bocca, Matilde.
Quando ti ho cantato la canzoncina che io e tua madre
ti sussurravamo attraverso la pancia, quel miracolo che tanti
mi avevano descritto è accaduto davvero: hai smesso di piangere.
E il mio cuore si è fermato.
Qualcuno ha detto che non contano i respiri che fai nella vita,
ma gli attimi in cui ti manca il fiato.
Quanto fosse vera e meravigliosa quella frase l’ho scoperta quel giorno: la profondità.
Nove mesi passati a guardarti dentro.
Un tempo interminabile per chi attende risposte dalla vita.
Per chi fino al giorno prima sbuffava davanti a un semaforo rosso,
per chi si spazientiva in fila alla cassa di un fast food,
o allo sportello di una banca.
Per chi è cresciuto in quest’epoca che brama la velocità delle connessioni,
dei ritmi di vita, dei rapporti umani,
nove mesi ad attendere sembravano un tempo irragionevole.
Ma la natura si è arroccata, per fortuna,
e si tiene stretta almeno la fortezza della vita,
e chi se ne frega di tutto il resto.
Le cose importanti richiedono tempo.
Ecco la cosa che mi hai insegnato ancor prima di nascere:
le cose belle meritano tempo.
Nove mesi contro sette minuti.
Quei sette minuti infiniti, quando il tuo cuore ha rallentato troppo,
e fuori da quella pancia i medici correvano,
c’era agitazione e il mio mondo ha rischiato di crollare.
Sette minuti. Ho fatto tanti viaggi nella vita e tanti ancora mi auguro di farne.
Ma nessun sarà lungo come quei due metri di corridoio che ho percorso
avanti e indietro per chilometri mentre preparavano la sala operatoria.
“Stiamo iniziando a operare. Appena la stiamo per tirare fuori ti facciamo entrare”
Mai mi ero sentito un viaggiatore così solitario con dentro il cuore
la paura di chi azzarda in un colpo solo di giocarsi tutto:
la coppia di donne più belle e importanti della sua esistenza.
Madre e figlia. Magari il rischio non era scientifico, per i dottori,
ma cosa c’è di più vero delle paure nel nostro cuore?
Poi finalmente mi hanno detto che potevo entrare.
E mi hanno intimato di non guardare il campo operatorio.
Me l’hanno raccomandato tutti.
Mi rimbombava in testa.
Non guardare mai lì.
Ma io ho guardato.
E’ stata la cosa più tremenda della mia vita ma sono felice di averlo fatto.
Perché altrimenti non avrei mai capito cosa vuol dire essere madre.
Cosa vuol dire essere figlio.
E quindi cosa vuol dire diventare padre.
Cosa vuol dire la vita.

L’ennesimo abisso che ho toccato in questa avventura,
profondo tanto da togliere il fiato, era dentro il ventre aperto di mia moglie.
Io che giravao la testa davanti a una ferita,
e avevo paura di non riuscire a medicare nemmeno il cordone ombelicale,
ho tenuto la mano di mia moglie per tutto il tempo,
fino all’ultimo punto di sutura,
e mi sono inginocchiato a baciarle quel braccio disteso e intubato
come davanti a una Madonna in croce. Nove mesi e un istante:
per capire che di così grande come la nascita non c’è nient’altro.
Solo la morte. E così le due parentesi dell’esistenza per un attimo
me le sono trovate accanto, con intorno tutta la scienza dell’uomo,
secoli di studi e freddezza, bisturi e visi sconosciuti,
e quando ci pensi l’indomani capisci che
anche quello è uno dei tanti volti dell’amore, anche se il più truce.
E poi vedere il trionfo della vita.
Con alle spalle tutto quel sangue e quella paura,
quando la tua piccola bocca si è poggiata sul seno di tua madre per la prima volta,
e le vostre vite si sono intrecciate per sempre,
con la leggerezza delle nuvole che si incontrano nel cielo.
E il dubbio che io fossi nato al solo scopo di godere
di quel momento è diventata una certezza.
Attendere. Significa anche mantenere fede a una promessa, a un debito.
Significa anche dedicarsi, applicarsi in qualcosa.
Significa anche volgere l’attenzione, considerare. Fare da attendente.
Per tutta la vita saremo genitori di Matilde
che oggi ha tre anni ed è una piccola donna.
Ora che la sua vitalità agita la casa e colora le nostre giornate,
io vado due volte la settimana ad immergermi nel silenzio del mare,
per non perdere il contatto con la profondità.
Rilassati, dice il mio istruttore, pensa a cose belle.
E io penso a mia figlia.
Che l’altro giorno mi ha detto:
“Papà tu sei uno “Strego”?”
Uno strego non esiste, stavo per rispondere. Esistono solo le Streghe.
Al massimo gli “Stregoni”. Ma c’era qualcosa che non mi quadrava.
Una bugia troppo grande si nascondeva in quel termine maschile,
in quell’accrescitivo ingiusto.
Un’aurea immeritata di magia e potenza protegge lo Stregone,
mentre dietro alla parola Strega c’è solo bruttezza e malvagità.
La strega uccide, lo stregone guarisce.
Ecco come fin dalle favole ci imbattiamo ancora bambini
in modelli culturali distorti e maschilisti.
La verità, figlia mia, è che oggi ci sono e come gli Streghi.
Anche troppi, che porgono mele avvelenate alle loro donne.
Che uccidono, loro dicono per amore, ma l’amore è vita, è libertà.
L’amore è accettare che le donne sono un dono che ci viene concesso,
e che bisogna meritarsi.
E quando non si è all’altezza dell’amore bisogna arrendersi
alla loro libertà di scegliere, di abbandonare, di cambiare,
di salvarsi, di troncare, di non appartenere, di non essere possedute.
Perchè alle donne dobbiamo noi stessi.
Nel loro grembo risiede la culla della vita,
e dal loro ventre si snoda il cordone ombelicale di tutti noi.
Non c’è uomo che non debba la propria vita
a questo filo di sangue e nutrimento che lo lega a una donna.
Non c’è violenza, anche solo verbale, contro una donna,
che non sia irriconoscente e delittuosa verso questo legame ancestrale.
Dovrebbero lasciarcelo per sempre un pezzetto di cordone ombelicale,
per ricordarci da dove ci viene data la vita,
prima di osare pensare che dall’universo femminile
qualcosa ci sia dovuto oltre il fatto di essere vivi.
E mi ritrovo a pensare che troppe vite di donne finiscono nel sangue,
lo stesso sangue da cui la vita sgorga alla nascita.
E mi manca il respiro.
Ho fame d’aria, riemergo e mi aggrappo alla superficie del mare.
- Come va?
Mi chiede il mio istruttore.
“Potrebbe andare meglio”, vorrei dire, ma ascolto il suo consiglio:
pensa alle cose belle. Penso a Matilde.
Penso che i nomi non nascano per caso.
E tu porti un nome che significa “forza, potenza” e “lotta, battaglia”.
Fallo in nome di tutte le donne, Matilde, lotta con amore.
Io da uomo, prima che da padre, sarò sempre al tuo fianco.

Andrea Melis


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Edited by francesina63 - 6/9/2017, 18:28
 
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view post Posted on 19/3/2016, 17:28     +1   -1
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Lettera di un Padre

alla Figlia


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Oggi parliamo bene di un uomo che non viene considerato molto,
ma che a un certo punto della sua vita
NON ha preso una decisione e ha fatto comunque un figlio,
o magari meglio per lui, una figlia,
ed è a questa ragazza che vorrei parlare...

Quando parliamo di quest'uomo che ci conosce un po' meglio
solo da grandi dobbiamo considerare sempre il fatto
che parliamo di un bambino che diventa ragazzo e poi uomo suo malgrado,
ma non diventa mai adulto e tutte le cose della vita
gli cadono addosso anche se lui non vorrebbe,
perché sa di doverle affrontare senza sapere come.

È quell'uomo che a volte non ha un posto dove stare a casa,
perché torna sempre per ultimo, e solo da vecchio lo trovi
sempre sulla poltrona con un giornale e ti farà finalmente tenerezza:
perché tuo padre è quell'uomo che ti ha insegnato ad andare in bicicletta
tenendoti il sellino da dietro per non farti cadere.
È quell'uomo del quale ti ricordi solo all'ultimo momento
di farti una foto con lui ai tuoi compleanni
e se invece al suo ti scordi di fargli gli auguri
non ci rimarrà male perché lui lo sa che non l'hai fatto apposta.

Sappi che quell'uomo, quando uscirai per la prima volta con un ragazzo,
non dormirà tutta la notte aspettando il tuo ritorno,
e il giorno dopo non ti chiederà come è andata
non perché non gli interessa ma perché ha paura
che tu ti sia trovata bene con un ragazzo che con te non c'entra niente.
È quell'uomo che quando trovi una sua foto da giovane,
ti sembra sempre fichissimo e ti dispiace di non averlo conosciuto allora
quando faceva lo scemo con tua madre.

È un uomo che ogni volta che esce con la macchina
spera che piova per incontrarti e darti un passaggio.
Tuo padre è quell'uomo che quando tornavi troppo tardi
ti sgridava ma dentro ti voleva solo abbracciare.
È quell'uomo che può litigare con chiunque per tutta la vita
ma con te vorrà sempre fare pace in un attimo
perché è quell'uomo che ti amerà
come non ha mai amato niente nella sua vita.
Tuo padre è quell'uomo che quando ti sposerai
compierà l'ultimo sacrificio che la vita gli chiede:
portarti all'altare e guardarti da dietro mentre ti lascia la mano...

E ricordati, cara figlia mia,
che se una volta, quando sarai una donna,
dovessi attraversare un momento difficile
in cui ti sentirai sola come mai ti è successo
e non troverai nessuno accanto,
dovrai girare la testa per guardare dietro di te.

E troverai un uomo solo.

Tuo padre.

Riccardo Rossi


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Edited by francesina63 - 6/9/2017, 18:29
 
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