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view post Posted: 14/8/2014, 12:11     -1Immagini e gif di Buon Ferragosto - Graficando...immagini e gif per ogni occasione

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Edited by francesina63 - 24/4/2023, 18:07
view post Posted: 16/5/2014, 17:11     +2Verbena: la pianta magica - Piante e fiori

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La Verbena: pianta magica



La verbena è una pianta erbacea che produce fiori dal profumo intenso e penetrante. Appartiene al genere “Verbena”, che comprende circa 250 specie, e alla famiglia delle “Verbenaceae”. Il nome di questa pianta deriva dalla parola latina “verbenae” che indicava genericamente sterpi e piccoli rami; il nome deriverebbe anche dal celtico “ferfaen”, da fer che significa “scacciare via” e faen che vuol dire “pietra”, in riferimento all’utilizzo della pianta per problemi alle vie urinarie, in particolare per la cura dei calcoli.

La verbena è originaria dell’America meridionale. In Italia è molto diffusa e apprezzata, è coltivata in giardino oppure come pianta d’appartamento, o ancora per abbellire balconi e terrazzi. Le verbene hanno un portamento aperto e cespuglioso; hanno fusti eretti e quadrangolari e possono raggiungere un’altezza di 40-80 cm; le foglie sono ovali, con il margine dentellato e le nervature molto evidenti. I fiori sono numerosi, riuniti in spighe e sono di colori differenti a seconda della specie, possono essere lilla, viola, rosa, rossi.

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Ambiente ed esposizione



La verbena ha bisogno di essere collocata in un ambiente soleggiato in primavera e nei mesi freddi, mentre in estate è meglio posizionarla in un luogo semi ombreggiato. Riesce a sopravvivere al caldo, ma non sopporta il freddo; si consiglia di evitare di esporla ad una temperatura inferiore ai 7-13 gradi.

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Terreno



Per una crescita ottimale della verbena si consiglia di usare un terreno leggero e poroso; è preferibile anche aggiunge al terriccio della torba e della sabbia, che favoriscono il drenaggio.

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Messa a dimora e rinvaso



La messa a dimora della verbena va effettuata a partire dalla primavera. Si scava una buca profonda circa il doppio della lunghezza delle radici; si estrae la pianta dal suo contenitore e si pulisce dalla terra in eccesso, facendo attenzione a non danneggiarla; si colloca la pianta nella buca, si ricopre con la terra, si comprime e infine si annaffia abbondantemente. Il rinvaso va fatto in primavera, quando è necessario; la pianta va posta in un vaso leggermente più grande del precedente, si sconsiglia l’uso di vasi troppo grandi perché ciò porterebbe ad un maggiore sviluppo delle radici, a discapito di foglie e fiori.

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Annaffiature



La verbena va annaffiata regolarmente, ma non in modo eccessivo. Si consiglia di annaffiare con acqua a temperatura ambiente e di non lasciare che il terreno si asciughi troppo tra un’irrigazione ed un’altra. Le annaffiature devono essere più abbondanti in estate, mentre vanno diminuite nei mesi freddi.

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Concimazione



Le verbene non hanno bisogno di un’eccessiva concimazione; per una crescita ottimale si può utilizzare un concime organico per piante da fiori, che va somministrato mescolandolo all’acqua delle annaffiature. Il trattamento va fatto nel periodo della fioritura, e va ripetuto ogni due settimane.

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Riproduzione



La riproduzione della verbena avviene per seme. La semina va fatta nei mesi di febbraio-marzo; i semi vanno posti in un contenitore con terriccio, che va tenuto sempre umido, e sabbia e vanno posizionati in un luogo ombreggiato. La temperatura ottimale per la crescita delle piantine va dai 18 ai 24 gradi. Una volta che i semi saranno germogliati vanno esposti alla luce e, quando le piantine saranno diventate abbastanza robuste, si potranno trasferire in vasi singoli. La moltiplicazione delle verbene avviene anche per talea, anche se non è un metodo diffuso. Nei mesi di agosto-settembre si staccano le parti apicali, si eliminano le foglie poste più in basso e si pongono le talee così ottenute in un contenitore con torba e sabbia; una volta che le nuove piantine saranno germogliate, potranno essere poste in vasi singoli.

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Potatura



Le verbene non hanno bisogno di una eccessiva potatura; basta effettuare la cimatura quando ce n’è bisogno, per fare in modo che la pianta mantenga un aspetto compatto. Vanno eliminate, inoltre, le foglie e i fiori secchi e le parti danneggiate. Si consiglia di usare per la potatura strumenti affilati e puliti, per non danneggiare la pianta ed evitale lo sviluppo di infezioni.

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Fioritura



La fioritura delle verbene avviene dall’inizio di giugno, alla fine di settembre. I fiori sono riuniti in spighe, sono numerosi e molto profumati; sono di colori diversi a seconda della specie: possono essere lilla, viola, rosa, rossi. I vasi da utilizzare dovranno essere più larghi che profondi, dato il portamento della Verbena che è di tipo strisciante e può diventare decombente, infatti è una tipologia di pianta adatta anche alla coltivazione nei panieri sospesi.

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Malattie e parassiti



La verbena può essere attaccate dagli afidi e dalla mosca bianca, che possono danneggiare fiori e foglie; in questo caso si deve cercare di eliminare manualmente i parassiti, oppure si può utilizzare un insetticida specifico. Un’eccessiva umidità può causare dei marciumi, quindi si consiglia di non somministrare troppa acqua.

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Vendita



Prima di acquistare le verbene è preferibile controllare lo stato di salute della pianta; bisogna verificare l’assenza di parassiti e malattie e che la pianta sia stata annaffiata sufficientemente (è possibile saperlo osservando se la terra del vaso è umida). Vanno evitate le piante con parti secche e danneggiate, mentre sono da preferire quelle rigogliose, con un’abbondante fioritura e dai colori brillanti.

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Specie



La Verbena come del resto tutte le piante da fiori presenta diverse tipologie, quella che meglio si presta alla coltivazione in vaso è la Verbena peruviana.

Ne esistono anche tante altre specie come ad esempio la Verbena bonariensis che è originaria dell’America Meridionale, caratteristica per i fusti eretti che possono arrivare anche ad 1m di altezza e le foglie oblunghe di un colore verde brillante. Il suo periodo di fioritura va da giugno ad ottobre, i tipi di fiori sono molto grandi hanno un diametro di circa 7cm sono di un color lavanda e sono riuniti in mazzetti terminali.

Altra tipologia è la Verbena canadensis o Verbena aubletia, che invece proviene dagli Stati Uniti, la caratteristica sta nell'avere fusti eretti, a sezione quadrangolare, ricoperti da una peluria più o meno ruvida, che portano foglie opposte dalle nervature evidenti. Il suo periodo di fioritura è l'estate, in cui produce fiori di colore variabile dal lavanda al rosa, al viola, al bianco che sbocciano riuniti in spighe terminali, dapprima compatte e ombrelliformi, in seguito più allungate.

Poi c'è la Verbena x hybrida, sono tutte specie ibride ed il gruppo è molto vasto.

Abbiamo ad esempio il Gruppo Grandiflora che comprende specie ibride dalla fioritura abbondante, alte 30-40 cm alcune tipologie sono ad esempio la Cardinal, caratteristica per i suoi fiori scarlatti con occhiati di bianco; l'Ellen Willmott, che invece presenta i fiori color salmone, con il centro bianco; il Fuoco Magico, dai fiori di color scarlatto acceso; la Mammoth Mixed, dai fiori variamente colorati; la Regina delle Rose, che presenta appunto i fiori rosa; la Royale che invece ha questi insoliti fiori di colore blu intenso.

C'è poi la varietà denominata Verbena italiana, che presenta fiori grandi striati longitudinalmente di rosso, rosa o blu. Presenta sullo stesso fusto fiori di colori diversi, con striature e screziature diverse.

La Verbena officinalis è invece una specie molto diffusa allo stato spontaneo che talvolta diventa infestante, questa specie dalla primavera all’autunno produce fiori piccoli, tubolari, di colore rosa-lilla, che sbocciano riuniti in spighe, generalmente viene utilizzata per vari scopi in erboristeria.

Un altro gruppo è quello noto come Gruppo Compacta, le cui piante sono caratteristiche proprio per la loro bassa statura, infatti i fusti non superno i 20-30 cm. In questa tipologia di Verbena, le specie più diffuse sono l'Amethyst, che presenta dei fiori blu scuro con occhio bianco; la Blaze, nota invece per i suoi fiori scarlatti; la Cristal, dal candido colore bianco; la Delight, a fiori rosa ecc..

La Verbena peruviana o Verbena chamaedrifolia è invece originaria del Brasile e dell’Urugay, questa specie presenta un portamento prostrato, con fusti che radicano facilmente, che portano foglie quasi sessili dentate, crenate o lobate, oblunghe e irregolari, con la pagina inferiore tomentosa. I fiori sono formati da un piccolo calice e da una corolla tubolare espansa in lembi, lineari e irregolari di colore scarlatto. È una pianta molto fiorifera e attraente, adatta in modo particolare alla coltivazione in vasi più larghi che profondi e in panieri sospesi.

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La Verbena nell' Antichità



La Verbena, Erba dell’Amore (Verbena officinalis)

Questa pianta, alta da 35 a 75 cm, assai poco decorativa e piuttosto insignificante, contrariamente alle varietà orticole, è comunissima nelle scarpate, lungo strade e sentieri, nei macereti, negli incolti; una pianticella umile, ma talmente magica che gli indovini, nel Medioevo, le attribuivano delle proprietà a dir poco miracolose, e per questo fu chiamata anche “erba del Mago”. Fiorisce da giugno ad ottobre. È quindi legata al culto del Solstizio d’estate, e viene raccolta tra il 21 e il 24 di giugno.

In genere la Verbena è comune in quasi tutta Europa, anche in gran parte dell’Asia e dell’Africa, quasi cosmopolita, dato che si è naturalizzata nell’America del Nord. Sulle Alpi arriva ai 1500 m di quota.

È una pianta che ha avuto la sua importanza nelle tradizioni magiche e popolari dell’Antichità: era un’erba sacra e magica in Persia, in Grecia, in Britannia, dove i Druidi la veneravano alla stessa stregua del Vischio, la raccoglievano quando sorgeva la Stella Sirio, solo nel momento in cui il sole e la luna non sono più visibili all’orizzonte; i sacerdoti incaricati di sradicarla dovevano poi versare un filo di miele nel punto dove l’avevano tolta, per ricostituire in un certo modo il suolo che ne era stato privato. È la stessa Verbena che i Druidi avrebbero utilizzato per trarne indicazioni sul futuro, cantando incantesimi.
Essi le riconoscevano la proprietà di guarire tutte le malattie, annullare il malocchio, suscitare allegria… Era molto venerata dagli antichi che si coronavano di Verbena e ne ornavano i loro templi. Dovevano munirsene anche coloro che andavano a cercare i tesori sotto i menhir di Plouhinec.

Nell’antica Roma
invece, la pianta, col nome di Verbena o Verbenaca, secondo quanto scrive Servio, veniva raccolta in un punto sacro del Campidoglio e serviva per cingere il capo del sacerdote consacrato, detto Fetialis o Pater verbenarius, quando si recava in processione per stipulare un trattato o dichiarare una guerra; sempre Servio dice che si chiamavano così, erroneamente, anche tutte le altre piante sacre, come Lauro, Olivo, o Mirto. Per la cerimonia del trattato, il Pater verbenarius, col capo cinto di Verbena, colpiva con una selce un maiale immolato per l’occasione. Sempre nell’antica Roma si usava far dono di un mazzo di Verbena a coloro a cui si voleva augurare la felicità, e se ne servivano anche per purificare le case dagli spiriti del male, per pulire le are degli Dèi, e così via.

Apuleio raccomandava di masticarla a digiuno per calmare il mal di denti. I Greci avevano una grande considerazione per la Verbena, consacrata a Venere, per i suoi poteri benefici.

Pianta favorita dalla Fortuna, nei tempi molto antichi era considerata da molti popoli come una potente divinità; da essa potevano derivare la ricchezza e la povertà, la gioia ed il dolore, la felicità e l’infelicità. Dea incostante, più benevola alle donne che agli uomini, aveva il potere di guadagnare alle fanciulle l’amore del loro amato.

Oggi è pianta dalle molte specie, nota alla medicina alternativa per gli immensi benefici che porta al corpo fisico. Non solo. Verbena o Vermena, la pianta di Venere, è capace, sembra, di suscitare una passionalità amorosa sconvolgente. Può influenzare profondamente un soggetto che dorme indifeso: bisogna scegliere le ore notturne di una sera di Luna nuova, un lunedì…

Può essere, secondo alcuni, deludente nella realtà, quando cresce spontanea: spighetta verde dai miseri fiorellini celesti viola, dal profumo pressoché inesistente, specie poi se lo si confronta con le profumatissime Verbene esotiche, coltivate. Non è comunque deludente nella moderna cosmesi, ne lo è, sembra, come essenza astrale. È la Verbena l’essenza astrale della Bilancia. Sotto questa veste infatti appiana i rapporti dei nati nella Bilancia con i familiari, punto dolente del segno. Favorisce intese amorose, suscita comunicativa, comprensione. Allontana i pericoli, le calamità collettive: gli Ovati, per scacciare gli Spiriti malvagi, aspergevano le abitazioni con acqua lustrale in cui immergevano un ramo di Verbena.

La Verbena, simbolo di pace e prosperità, veniva anche usata come talismano; sminuzzata, era messa in un sacchettino, che veniva poi appeso al collo contro mal di testa e morsi d’animali velenosi. Per risvegliare la passione amorosa e donare armonia alla propria vita sentimentale, si usava l’infuso; si narra che le giovani spose il giorno delle nozze portassero con sé un mazzetto fiorito di Verbena, che le avrebbe aiutate a superare la prima notte.

Un’usanza che sopravvive ancora nell’Europa del Nord è quella di raccogliere fiori di Verbena, farne dei mazzetti tutti dispari e portarli sul cuore per un periodo da tre a nove giorni. Si prepara anche un filtro d’amore con dei petali di Verbena, che si mettono a macerare assieme al miele in un recipiente contenente del vino; dopo sette giorni si filtra e si offre alla persona amata. Per gli Antichi era di già una pianta sacra a Venere e con essa si preparavano filtri d’amore.

Nel Nord della Francia veniva chiamata ancora di recente «erba della doppia vista» e si riteneva che favorisse l’esaltazione, l’estasi e il sonno. In Bretagna, dove viene chiamata louzaouenn ar groaz, «erba della croce», si crede che difenda chi la porta da ogni maleficio.

Gli antichi guerrieri germani la chiamavano “erba di ferro”
ed attribuivano a questa pianticella la capacità di allontanare gli influssi negativi; cospargevano le loro spade con il suo succo, come protezione dagli spiriti maligni.

Nella mitologia egiziana la pianticella della Verbena era dedica ad Iside, poiché era nata dalle lacrime della Dea, che, affranta, piangeva la morte di suo marito Osiride.

È anche il simbolo dell’incantesimo. Il Flechier, nella sua Storia di Teodosio, scrive: “Lo stregone più anziano, avvolto da un telo di lino, tenendo la verbena in mano, avanzava e cominciava le sue invocazioni”.

Un’antica leggenda cristiana
racconta come questa pianta fosse spuntata sul monte Calvario, e per questo la Verbena fu considerata divina; quando la si coglieva, si formulava un incantesimo:


“Tu sei santa, Verbena, come cresci sulla terra,
perché in principio sul Calvario fosti trovata,
tu hai guarito il Redentore e hai chiuso le sue piaghe sanguinanti,
in nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo ti colgo“.



Con queste parole veniva colta la Verbena, per le sue grandi virtù curative, e da allora prese anche il nome di erba Crocina o erba Sacra. Nella liturgia della festività dedicata all’Assunzione di Maria, la Verbena era usata per la benedizione delle chiese; in quell’occasione si sviluppò il rito della consacrazione delle erbe, affinché le loro proprietà curative fossero protette dal maligno e dai poteri delle tenebre.
Non era ignorata neppure dalla Stregoneria: i Galli la chiamavano “veleno del diavolo” e, dopo averla raccolta nelle tenebre (ricordo del rito druidico), se ne servivano per spargere l’acqua benedetta, veniva bruciata per mettersi in sintonia con l’Universo, per evocare gli Spiriti, aumentare le facoltà profetiche e lanciare incantesimi, ed infine per preparare potentissimi filtri d’amore. Anche le streghe di Salem usavano una mistura a base di Verbena per attirare le persone interessate.

Il leggendario Nostradamus suggeriva di raccogliere la Verbena nella notte solstiziale, onde preparare un Talismano per realizzare “buoni viaggi”; nella Bibbia della Magia troviamo il suo rituale:

“Per i buoni viaggi cogliete, all’indomani di Pentecoste, un ramo di Sambuco e ricavatene un bastone. Togliete il midollo e, dopo aver chiuso un’estremità, infilate nell’altra due occhi di lupo, lingua e cuore di cane, tre ramarri, tre cuori di rondine. Colmate con salnitro e con sette foglie di Verbena raccolte nella notte di San Giovanni, e una pietra di diversi colori. Chiudete il buco con un pomello d’avorio ricavato dalla zanna di un elefante che non abbia più di un anno di vita, e infine il bastone è pronto. Con esso sarà possibile intraprendere ogni viaggio senza pericolo; eviterete cattivi incontri, il morso delle vipere, dei cani e delle bestie feroci”.

In Inghilterra poi, la si distribuiva nella notte di San Giovanni (la notte delle Fate), come pianta di buon augurio, e i giovani ballavano con ghirlande di Agrifoglio e di Verbena. È la stessa a cui si riconoscevano doti medicamentose, e ce lo conferma Giovanni da Milano: «Finocchio, verbena rosa, chelidonia, forma un’acqua che dà vista acuta».

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Utilizzo e proprietà curative
Verbena officinalis



È naturale quindi che, nell’antichità, le siano state attribuite virtù medicinali; per lungo tempo si è giurato sugli effetti portentosi che avrebbe avuto la radice, portata appesa al collo, per guarire dalla scrofolosi. Avrebbe poi fatto passare le febbri: per la febbre terzana bisognava prendere la terza giuntura a partire dalla base, la quarta invece per la febbre quartana, poi strapparla e prendere un’infusione.

Il nome di quest’erba sembra derivi dal celtico ferfaen, cioè portar via le pietre, probabilmente perché veniva impiegata per i dolori renali, nonché per il trattamento dei calcoli.

Secondo una voce raccolta da Jules Gros nel Tregor, la Verbena serviva a preparare un unguento per far uscire il sangue stagnante. Avendo cura di metterla prima a bollire nell’aceto, se ne fanno anche impacchi per la lombaggine, la sciatica, il mal di testa.

Nicholas Culpepper, medico erborista, nel corso del XVII secolo registrò che le foglie sminuzzate di verbena, unite all’aceto, purificavano straordinariamente la pelle; inoltre le raccomandava per trattare casi d’itterizia, tosse, febbre, peste e, come appena citato, per i calcoli renali.

Anche Ippocrate raccomandava la Verbena per le sue straordinarie qualità terapeutiche, infatti fu definita “gioia del semplicista”.

Oggi, la delicata Verbena non serve più, anche se le qualità terapeutiche di questa pianta sono degne di considerazione: possiede un’azione antidepressiva, sblocca l’energia ristagnante donando equilibrio, è astringente, cicatrizzante, risolutiva, e senza dubbio febbrifuga per via di un suo glucoside, la verbenalina, che per alcuni è ancor meglio del chinino. Allo stesso tempo aperitivo e digestivo, la Verbena stimola lo stomaco a secernere i succhi gastrici ed è utile contro le vertigini, le emicranie e la sonnolenza provocate da una cattiva digestione. È tonica, antispastica (utile contro il nervosismo, la tosse, l’insonnia, l’angoscia), è ottima come antinevralgico nella terapia dell’emicrania ed aiuta la concentrazione; a questo proposito si racconta che abbia la virtù di risvegliare l’intelligenza. Inoltre depura l’organismo, restringe i tessuti e favorisce la guarigione delle piaghe e delle infezioni. È indicata contro le malattie del fegato (itterizia), della milza (congestione), dei reni, affezioni febbrili, debolezza in generale, mestruazioni dolorose e irregolari. È, infine, una pianta mellifera.

Questa pianta viene utilizzata in erboristeria per le sue molteplici proprietà medicinali essendo efficace contro gli stati d'ansia, agitazione e stress.

Per uso interno viene utilizzata per trattare mal di testa,febbre,depressione.

Per uso esterno si utilizzano le sommità fiorite in Infuso per tonificare e purificare bocca e gola.

Con la Pomata contro le contusioni, eczemi, piaghe e i dolori articolari.

Viene anche utilizzata per trattare disturbi digestivi,sinusiti.

Utilizzata come rimedio nei fiori di Bach.

Questa pianta contiene saponine, mucillagini, verbenalina, verbenina, tannini, flavonoidi, oli essenziali, verbascoside, geraniolo, citrale.


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Fonti:
giardinaggio.net - lavorincasa.it - giardinodellefate.wordpress.com - erbe.altervista.org


Edited by francesina63 - 6/5/2023, 15:50
view post Posted: 17/7/2013, 15:12     +1Le siepi - Piante e fiori

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Cos’è una pianta da siepe?



Occorre innanzitutto considerare che non esistono, in termini assoluti, piante geneticamente da siepe, ma esemplari che vengono utilizzati a siepe, cioè piantati fittamente e potati con regolarità, così da ottenere un effetto pieno, a muro verde. Per esempio il lauroceraso (Prunus laurocerasus), il principe delle piante da siepe, può crescere benissimo come esemplare isolato: nei giardini di Milano o di Roma, se ne possono ammirare esemplari isolati, quasi dei veri e propri alberi, che in età adulta producono fiori bellissimi e profumati.

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Il buio oltre la siepe?



Siamo noi uomini che obblighiamo queste piante a vivere strette strette (di solito se ne piantano due ogni metro), per i nostri scopi, che possono essere diversi: per delimitare i confini dei nostri giardini, per nascondere zone particolari (l'orto il capanno degli attrezzi), o per sostituire o coprire altri elementi antiestetici, come muri o reti metalliche. L'origine delle siepi probabilmente risale a quando l'uomo ha sentito il bisogno di difendere dagli animali la terra che cominciava a coltivare. Il senso della proprietà, unito ad una sempre più diffusa esigenza di privacy, ce le fa usare per isolarci e nasconderci dalla vista di curiosi vicini. Oggi l'utilizzo a fini ornamentali (si pensi ai bellissimi giardini all'italiana delle ville dei laghi, patrimonio verde e turistico mai abbastanza valutato), è superato di gran lunga dalla esigenza di isolamento e demarcazione che si ritrova nei nuovi canoni edilizi delle recenti costruzioni (villette a schiera), in un momento come quello attuale in cui sempre più spesso le nuove coppie si allontanano dalle città preferendo spazi più ampi e vita meno caotica.

Un suggerimento per chi abita in una villetta a schiera: accordatevi con i vostri vicini in modo da sfruttare un lato comune della siepe di confine.Ognuno risparmierà il costo di piantumazione di uno dei due lati, pur approfittando della siepe del vicino, della quale dovrà però impegnarsi a curare la manutenzione. E' un modo intelligente di andare d'accordo, risparmiando nel contempo la superficie del vostro giardino.

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Protezione e ornamento



Un' altra funzione che si è data alla siepe è quella di frangivento: vi sono piante molto adatte per tale utilizzo, come ad esempio:

- Cupressus sempervirens (cipresso)

- Taxus baccata (tasso)

- Laurus nobilis (alloro)

- Quercus ilex (leccio)

- Eucaliptus pauciflora (eucalipto).

Si tratta in genere di esemplari adatti a raggiungere altezze notevoli (a volte fino a 10 metri).

L'utilizzo più bello è quello architettonico, di armonizzazione e creazione del paesaggio; pensiamo ad esemplari enormi, a cipressi o cedri (Cedrus atlantica o deodara). In tal caso le siepi diventano vere e proprie "quinte", e possono celarci interi chilometri di territorio:col risultato di spingere a cercare cosa ci sia al termine del muro verde. Col premio, talvolta, di scoprire radure immense e bellissime, spazi aperti ed ambienti ariosi che mai più si pensava di trovare nascosti dietro le grandi siepi. Se ne trovano esempi in grandi parchi anche in Italia, come il bellissimo parco Sigurtà di Valeggio sul Mincio, nel quale si trovano silenzi austeri ed ambienti da meditazione nascosti dalle siepi. E dove c'è forse la più lunga ed invitante doppia siepe di rose basse in mezzo a cui passare: un vero e proprio lento e lungo sorriso profumato.

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Le specie più comuni



Il settore "siepi" in tutti i vivai è costituito da non più di una decina di specie, benché, come già accennato, ogni pianta possa essere usata per creare una barriera. Vediamo pregi e difetti delle specie più usate.

Il lauroceraso, che in termini proporzionali rappresenta forse i tre quarti delle siepi esistenti nei piccoli giardini, ha grandi pregi: basso costo, rusticità, ottima copertura, foglie lucide e coriacee, velocità di crescita. Tuttavia tende a portare via molto spazio al giardino (anche 1-2 m dal confine dopo pochi anni), e non va quindi consigliato in giardini troppo piccoli. Comporta inoltre negli anni un discreto onere manutentivo, con almeno due tagli annui. Diversamente tende a lignificare, e si pota poi con molta difficoltà.

Con caratteristiche simili, e adatto se siete in clima mite, sono l’alloro (Laurus nobilis), che vi consigliamo in particolare se siete amanti delle carni arrostite, per il noto uso culinario delle sue foglie coriacee, e il pitosforo (Pittosporum tobira), amante del sole con i suoi fiori bianchi profumati.

Completano la famiglia di piante a foglia spessa il laurotino (Viburnum tinus) dalla lunga fioritura invernale, l’eleagno (Elaeagnus angustifolia), con o senza spine, e dalla elegante foglia grigio-dorata, l’agrifoglio (Ilex aquifolium), più costoso ed elegante, il bosso (Buxus sempervirens), perfetto per le sculture topiarie per via della sua crescita contenuta, e la Photinia, per una siepe di sicuro effetto a causa del suo colore rosso fuoco.

Più contenute in spessore, e con foglie più piccole e morbide, sono invece il ligustro (Ligustrum ovalifolium) e il Pyracantha. Il primo ha il pregio di produrre in primavera dei fiorellini bianchi profumatissimi (ed esistono tra l’altro varietà a foglia dorata molto eleganti), mentre il secondo, dotato di buone spine atte a scoraggiare gli intrusi, benché di crescita un po’ disordinata, produce in estate numerosissime bacche di colore giallo, rosso o arancione. Entrambi sono piuttosto facili da potare, e lignificano molto più lentamente del lauroceraso.

Fin qui i sempreverdi, anche se talvolta vengono utilizzati càrpini (Carpinus betulus) e faggi (Fagus sylvatica), per la loro caratteristica di conservare a lungo le foglie secche sui rami.

Tra le conifere, spesso vengono usate le Cupressocyparis leylandii, i Cupressus sempervirens, i tassi (Taxus baccata) e alcune tuie (Thuja occidentalis ed orientalis), le Chamaecyparis lawsoniana ‘columnaris glauca’ ed ‘ellwoodi’, e i Cupressus arizonica (per i toni azzurri), e le Thuja plicata ‘aurea’ (per i toni dorati). Talvolta queste essenze vengono utilizzate anche per interessanti siepi miste.

Se poi si ha l’esigenza di occupare pochissimo spazio, è anche possibile utilizzare per la copertura di una rete divisoria, delle piante rampicanti. Tra i sempreverdi sono consigliabili il falso gelsomino (Trachelospermum jasminoides) e il caprifoglio (Lonicera caprifolium) o anche l’edera bianca, gialla o verde, ma è possibile sbizzarrirsi anche con miscele fantasiose di sempreverdi e non sempreverdi (edera + vite canadese, lonicera + clematis, rose + passiflora ecc.).

Siepi da fiore

Quando desideriamo che la nostra siepe ci regali anche una fioritura decorativa, accentuata dalla presenza di più piante poste a dimora vicine, possiamo scegliere delle piante da fiore; anche in questo caso in genere si scelgono delle essenze di facile coltivazione, ed esenti da malattie. Possiamo anche porre a dimora piante che producono bacche decorative, in modo da avere una siepe piacevole anche durante i mesi invernali.

Siepi di latifoglie di grandi dimensioni

Anticamente nella pianura Padana si dividevano gli appezzamenti di terreno con siepi costituite da latifoglie, generalmente pioppi, frassini, platani o altre essenze autoctone, utilizzate anche per consolidare le rive dei canali di irrigazione; questo tipo di siepi, presenti anche oggi in molte zone d'Italia, hanno crescita rapida, offrono un buon ombreggiamento e un'elevata protezione dai venti forti. Per un buon mantenimento di una siepe di alberi ad alto fusto è però bene praticare periodicamente il taglio di tutte le piante a 50-100 cm dal terreno, in modo da formare una densa ceppaia. Un tempo i trattamenti periodici di potatura delle ceppaie lungo i canali fornivano anche una buona riserva di legna da ardere. Oggi questo tipo di siepi, generalmente di grandi dimensioni, vengono utilizzate nel caso di grandi appezzamenti di terreno, viste le dimensioni finali che possono raggiungere: 3-5 metri di altezza; da sempre presenti in molte zone, se ne sta anche favorendo il reinserimento nelle campagne, vista anche l'importanza che assumono quali ripari per moltissime specie animali, soprattutto uccelli che nidificano tra i rami delle ceppaie.

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Spoglianti o sempreverdi?


Di solito si pensa alla siepe come a qualcosa di sempreverde, che spesso si è portati a preferire per il maggiore effetto coprente. Le sempreverdi però, hanno spesso fioriture banali o "piatte". Qualora non vi sia un'esigenza assoluta di copertura si può tentare qualcosa di innovativo, che rompa la ripetitività monocorde del sempreverde. Guardiamo le piante delle nostre campagne, le piante autoctone. Certo d'inverno sembrano spoglie, però il giardino in Gennaio si vive poco. Al massimo lo si osserva, avvolto nella nebbia, o coperto dalla neve. In questa atmosfera si perde la voglia di sempreverde, e si capisce come le piante caducifoglie siano in armonia con l’ambiente: in più ci assicureremo fioriture tumultuose e una variabilità stagionale ricca di sorprese.

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Siepi alternative


Perché dunque non pensare a siepi concepite come successioni di piante differenti a fioriture scalari, con diversi colori autunnali, e magari ricche di bacche in inverno? Sono le siepi più belle, e vivacizzano angoli sterili dei nostri giardini. Pensiamo agli innumerevoli cespugli da fiore a colori diversi, che possono tranquillamente essere usati in una siepe originale: Forsythia, Amelanchier (pero corvino), Prunus da fiore, Chaenomeles japonica (cotogno del Giappone), Lagerstroemia indica, viburni, Hibiscus syriacus, Cytisus e altre ginestre, Hamamelis, calicanto, spiree, Buddleia, tamerice, weigelia e molte altre, secondo fantasia e creatività.

Un'altra alternativa può essere rappresentata da altre essenze, questa volta monotematiche, come le intramontabili ortensie (ricordiamoci che vogliono l’ombra), le profumatissime lavande, i talvolta invasivi bambù.

In alcuni casi si possono creare siepi che abbiano un valore diverso da quello squisitamente estetico. Ricordo, ad esempio, particolari essenze che avevo pensato, nell' ambito di un progetto di riqualificazione floro-faunistica di una cava nei pressi di Milano, scegliendo specie idonee come fornitrici di cibo per gli uccelli, e quindi meritevoli di inserimento come attrattiva faunistica: agrifoglio (Ilex aquifolium), olivello spinoso (Hippophae rhamnoides), palla di neve (Viburnum opulus), pero corvino (Amelanchier ovalis), sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), biancospino (Crataegus oxyacantha), ginestrone (Ulex europaeus), sinforina (Symphoricarpus racemosus) e molte altre.

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Come fare una siepe: le solite cose... e qualche trucco



In fase d’impianto dovremo scavare per ogni pianta una bella buca, concimarne il fondo, posare la zolla, richiudere il buco con la terra, e, magari, sparpagliare in superficie un po’ di sostanza organica.

Quando piantiamo una siepe possiamo cercare di risparmiare tempo, se abbiamo la fortuna di disporre di un piccolo escavatore, scavando, ad esempio, un unico lungo solco entro cui ospitare le piante, oppure aiutandoci con del gesso od altre sostanze traccianti, segnalando preventivamente i punti di collocazione sul terreno. Attenzione anche al concime: quello chimico rende immediatamente disponibili gli elementi chimici alle piante. Stiamo attentissimi a non esagerare con la distribuzione: gli eccessi sono all'ordine del giorno. D'inverno le piante sono poco attive, per cui è inutile usare concimi chimici: preferiamo, invece, gli organici (stallatico, cornunghia, pellicino), che ci mettono più al riparo dai pericoli di eccessi di concimazione ed in più posseggono anche un effetto ammendante, cioè di miglioramento della struttura del terreno. Per andare più diritti possibile, possiamo piantare dei picchetti in corrispondenza dell'inizio, di metà o della fine della siepe, allineandoli a vista e tirando delle corde tra un picchetto e l'altro.

Una volta scelte le piante è consigliabile porle a dimora tutte assieme; prima di tutto è bene lavorare il terreno, aggiungendo dello stallatico e della sabbia, per migliorare ed arricchire il substrato, in modo da renderlo fertile e ben drenato; se abbiamo scelto delle piante che amano terreni a ph acido è necessario aggiungere al terreno anche della torba.
Quindi predisponiamo il luogo in cui sistemare il filare di piante: con una cordicella e due bastoni prepariamo la linea di riferimento, in modo che la siepe risulti ben dritta ed ordinata; quindi procediamo preparando uno scavo sufficientemente profondo da contenere il pane di radici delle piante; in genere arbusti da siepe, alti 40-50 cm, si pongono a dimora ad una distanza di 65-75 cm; se disponiamo di piante più piccole dovremo porle a dimora a distanza minore. Una volta poste a dimora le piccole piante che comporranno la siepe premiamo ben il terreno attorno ai fusti e procediamo con una annaffiatura abbondante, che bagni il terreno bene in profondità.

Si consiglia quindi di pacciamare il terreno attorno ai fusti delle piante, in modo da evitare l'eccessivo sviluppo di erbacce e per mantenere il piede degli arbusti fresco e leggermente umido anche durante le calde giarnate estive; a questo scopo si possono utilizzare le cortecce di pino, oppure foglie secche o lapillo.

Se il terreno è ben drenato e ricco di materiale organico in genere le nostre piante non ci daranno grandi problemi, anche se sarà bene ripetere la concimazione ogni anno, a fine inverno.

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Siepi e problemi



"Dottore, come mai la mia siepe ha poche foglie in mezzo?". Tutte le siepi gia formate sono vuote al centro. La presenza periferica di foglie impedisce la penetrazione della luce e quindi la formazione di verde lungo i rami coperti. Quando potate generosamente una siepe che magari per anni non è mai stata toccata, non preoccupatevi del senso di desolazione che proverete finito il lavoro. I rami vuoti rimasti si riempiranno presto di foglie nuove. A patto, naturalmente, che qualche foglia sia risparmiata: la pianta non deve essere mai privata della possibilità di fabbricarsi gli zuccheri con la fotosintesi.

Spesso si possono verificare, specialmente negli impianti nuovi, morie improvvise di alcune piante. Non date la colpa sempre al fornitore (".. mi hanno dato delle piante sofferenti!"). La causa è spesso da ricercare in uno squilibrio da carenza o da eccesso idrico. La prima ipotesi si può verificare nelle messe a dimora eseguite in stagioni calde, in assenza di impianto di irrigazione e spesso con esemplari in zolla, quindi più sensibili alla poca disponibilità d’acqua. Il verificarsi della seconda ipotesi, molto più comune di quanto si possa pensare, è legato invece alla presenza di terreni asfittici, compattati e molto argillosi. Circostanza piuttosto frequente nei giardini delle case in costruzione, nei quali gli scavi dei cantieri, i passaggi frequenti di ruspe e gru, e i riporti di terra sterile presa da scavi profondi, contribuiscono alla formazione di una suola di compattamento. Tale suola causa un difficile sgrondo delle acque, creando condizioni di anaerobiosi ed insorgenza di anomale fermentazioni, spesso accompagnate da malattie fungine (marciumi, botriti, tracheomicosi ecc.).

Nel caso delle siepi, inoltre, questi problemi vengono accentuati dalla presenza di basamenti in cemento dei muretti di confine, che sono ulteriore ostacolo al deflusso delle acque. Non potete immaginare quanto comuni siano questi problemi che quotidianamente ci troviamo ad affrontare nella pratica del nostro lavoro!

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E la potatura?



Potare le siepi non è così facile come possa sembrare Non bastano forbicioni e buona volontà. Occorre sapere il quando, il come e il quanto.

Un tempo i giardinieri "fissi" delle grandi ville private, potavano le siepi squadrate quasi settimanalmente. E anche oggi, potendolo fare, questo resta il metodo migliore, perché crea il minor danno possibile alle piante che, come tutti sappiamo, non amano affatto essere potate, tanto meno capitozzate.

La necessità di ridurre a uno o due interventi nell’anno la potatura, ha fatto quasi scomparire dal mercato alcune piante (come i Cupressus arizonica), che in assenza di continua potatura tendono a diventare disordinate, e sensibili alle intemperie. Esistono poi diversi sistemi di cura: lasciando la siepe un po’ libera e spontanea, oppure tenendola perfettamente squadrata, come nei tradizionali giardini all’italiana.

Se si segue il sistema formale, è necessario aiutarsi con il filo, per seguire la linea di taglio in altezza. Così facendo si evitano le antiestetiche "onde", tipiche dei giardinieri inesperti.

E’ necessario poi, se l’intervento è stato fatto a macchina, ritoccare a forbice i rami mal potati, onde evitare la possibile insorgenza di malattie attraverso ferite o tagli sfrangiati.

Una considerazione di costo si rende necessaria: se è vero che una piantina di lauroceraso costa molto poco, è anche vero che, negli anni, il costo di manutenzione sarà elevato. Consiglio quindi di rivolgersi a piante dalla crescita non troppo vigorosa, anche a costo di spendere qualche lira in più.

Per uno sviluppo ottimale è bene intervenire con le potature, con le prime si modellano le piante fino ad ottenere la forma desiderata, con le potature successive si contiene lo sviluppo della siepe e si arieggiano e si illuminano le parti più interne delle piante, in modo da evitare la perdita del fogliame nei rametti più vicini al tronco.
Nei vivai sono disponibili piante da siepe già sviluppate, con buona crescita in altezza e molte ramificazioni laterali; ponendo a dimora questo genere di piante si produce facilmente una siepe, avendo l'accortezza di potare le piante di circa un terzo, o della metà, in altezza una volta all'anno per i primi 2-3 anni: in questo modo le piante si infoltiranno velocemente, producendo molte ramificazioni nella parte bassa.

Per le siepi di conifere è consigliabile evitare le potature nella parte alta, fino a che non avrà raggiunto l'altezza da noi desiderata; a questo punto si cimano le piante, in questo modo si eviterà uno sviluppo eccessivo in altezza nel corso degli anni.

Se possiamo attendere alcuni anni possiamo ottenere una siepe più economica partendo da piccole piante; in questo caso si procede in maniera diversa a seconda del tipo di pianta scelta:

- Piante pollonanti

Si tratta delle piante che tendono a formare larghi cespugli costituiti dal fusto principale, affiancato nel tempo da numerosi polloni. Le giovani piante in primavera, dopo l' impianto, si tagliano a circa 15-20 cm dal suolo, negli anni successivi si procede accorciando la parte alta della siepe e potando le ramificazioni laterali.

- Piante non pollonanti

Sono le piante che sviluppano un solo fusto principale con molte ramificazioni laterali; in questo caso si procede accorciando di un terzo in altezza la pianta e potando i rami laterali.

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Potature successive



A seconda della specie da noi scelta e dalla tipologia di siepe che intendiamo ottenere, le operazioni di potatura negli anni saranno diverse, e dipendono anche dalla vigoria delle piante.
E' possibile preparare una siepe lineare e geometrica, che va conformata avendo cura di lasciare la base un poco più larga dell'apice, in modo che le piante godano di più luce. Una siepe lineare si pota a fine inverno, quindi si procederà ad alcune potature nell'arco della stagione vegetativa, ma molto dipende dalle piante scelte: una siepe di lauroceraso o di ligustro verrà potata 3-4 volte all'anno, una di bosso solo due o tre. In genere si tende a controllare la crescita delle piante ogni 2-3 mesi, da marzo fino a novembre.

Volendo si può anche decidere di lasciare alla siepe un portamento più naturale, lasciando che ogni singola pianta si sviluppi liberamente; anche in questo caso è però consigliabile una potatura all'inizio della primavera, per infoltire le ramificazioni.

Le siepi costituite da piante da fiore si potano, in linea di massima, dopo la fioritura, ma è bene valutare il giusto periodo per ogni singola specie scelta: per esempio le rose rampicanti si potano a fine inverno.

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Piante con un fine



Non scegliamo, dunque, una siepe, solo per nasconderci o proteggerci, ma soprattutto per mostrarla. E cerchiamo di valorizzare le nostre coperture verdi, attribuendo loro un significato che possa andare al di là di un puro scopo funzionale. Non limitiamoci alla funzione decantata dal Leopardi ("..che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude..."), ed osiamo qualcosa di originale.

Vi sono essenze che coprono, è vero, ma anche profumate, a fioriture differenziate, dagli splendidi colori autunnali, ricche di bacche utili per noi e per l’avifauna, con foglie lucide o brillanti, o adatte all’uso di cucina. Facciamo entrare a far parte del progetto del giardino anche la nostra siepe. Non rimane che lasciare mano libera alla nostra fantasia di giardinieri creativi.

Non consideriamole solo piante di confine, ma, per una volta, piante con un fine.


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Legislazione



Il posizionamento di piante, siepi o arbusti lungo le zone di confine tra due terreni è regolato da norme che variano da zona a zona; è sempre consigliabile consultare la polizia locale per ottenere informazioni su tali norme prima di porre a dimora una siepe. Se non esistono norme locali tali operazioni sono regolate dal codice civile, e precisamente dagli articoli 892-896. Nel codice civile italiano sono riportate le seguenti norme:

- Gli alberi ad alto fusto si pongono a tre metri dal confine; si intendono alberi ad alto fusto quelle piante che raggiungono agevolmente i 6-7 metri di altezza, o che hanno fusto con ramificazioni che cominciano al di sopra dei tre metri.

- Le piante non ad alto fusto, ovvero che ramificano al di sotto dei tre metri di altezza, vanno poste a 150 cm dal confine.

- Gli arbusti, le viti, le piante rampicanti, le siepi vive, le piante da frutto, possono essere piantati a mezzo metro dal confine.

Ma ricordiamo che le siepi di ceppaie vanno poste a un metro dal confine, e le siepi di robinie, anche se a ceppaia, ad un metro e mezzo dal confine.

Se sul confine è posto un muro si possono piantare siepi ed alberi rasente il confine, purché abbiano un'altezza inferiore a quella del muro.


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Fonti:
vivaioclorofilla.it - giardinaggio.it


Edited by francesina63 - 14/1/2016, 17:43
view post Posted: 12/4/2013, 07:50     +1Paralisi sopranucleare progressiva: una rara e grave forma di Parkinson - Malattie Rare e Genetiche

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Paralisi sopranucleare progressiva.
In Italia il primo studio clinico
per il trattamento con cellule staminali



È "made in Italy" il primo studio clinico per il trattamento della paralisi sopranucleare progressiva (Psp) - malattia rara, considerata una forma di parkinsonismo grave - con cellule staminali multipotenti mesenchimali.

Promosso dalla Fondazione Grigioni/Istituti clinici di perfezionamento e dalla Cell Factory "Franco Calori" del Policlinico di Milano, lo studio clinico di fase I ha l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’efficacia dell’impiego di cellule staminali multi potenti mesenchimali autologhe (ovvero provenienti dallo stesso paziente che poi le riceve) in persone affette da Psp e per le quali attualmente non esiste alternativa terapeutica.

Lo studio, già nella fase finale dell’iter autorizzativo presso l’Istituto superiore di sanità, prenderà avvio entro due-tre mesi e vedrà coinvolti una ventina di pazienti.
Si raggiunge dunque un importante traguardo. La sperimentazione, oltre a rispondere ai bisogni dei pazienti affetti da Psp, apre nuove prospettive in termini di possibilità di trattamento di altre malattie neurodegenerative come ad esempio il Parkinson.

La Psp, paralisi sopranucleare progressiva

Così definita perché caratterizzata dall’incapacità di muovere volontariamente gli occhi, prima solo in senso verticale, poi anche in altre direzioni. La paralisi sopranucleare progressiva è una malattia rara, neurodegenerativa, che appartiene al gruppo dei parkinsonismi, ovvero a quelle malattie che provocano la degenerazione delle cellule nervose che fanno parte dei circuiti che regolano automaticamente i movimenti. I pazienti affetti da parkinsonismi presentano disturbi del movimento, lentezza nel compiere i movimenti, rigidità e compromissione dei riflessi che permettono di mantenere l’equilibrio. Nel giro di 5 anni dall’esordio della malattia in genere il paziente è costretto alla sedia a rotelle.
La Psp ha una prevalenza di circa 6,5 casi per 100mila abitanti e un’incidenza di 5,3 nuovi casi ogni 100mila abitanti.

Le cause

Le cause della Psp, come di altre malattie neurodegenerative, sono sconosciute. Una teoria plausibile è che alcuni fattori ambientali possano scatenare la malattia e che il tempo di esposizione necessario per l’insorgenza della patologia dipenda dalla predisposizione genetica dell’individuo.

La componente ambientale

È possibile che in alcune aree particolarmente inquinate, dove si utilizzano ad esempio pesticidi, erbicidi, idrocarburi o altre sostanze in grado di indurre parkinsonismo, la prevalenza della malattia sia maggiore. Alcuni dati non italiani evidenziano una sua maggiore diffusione in campagna piuttosto che in città, probabilmente a causa dell’utilizzo di erbicidi e diserbanti per il miglioramento e l’incremento delle colture.

I fattori di rischio e la prevenzione

Per quanto non esista un modello specifico, si può comunque fare prevenzione in molti modi. Tra gli elementi della strategia preventiva troviamo:

- una dieta sana. Preferire un’alimentazione a basso tenore lipidico e ricca di grassi insaturi (olio di oliva piuttosto che grassi animali). Utile anche l’apporto proteico controllato.

- una corretta attività fisica. A meno che il paziente non soffra anche di malattie cardiovascolari che ne sconsiglino la pratica

- una maggiore conoscenza delle norme igienico-farmacologiche. Meglio non utilizzare in maniera impropria (ma solo su prescrizione medica) preparati come gli antinausea centrali, alcuni dei quali in libera vendita in farmacia. Medicinali di questo genere, specialmente se assunti cronicamente da persone predisposte, possono indurre un parkinsonismo anche irreversibile.

- riduzione dello stress. Molti pazienti dichiarano eventi stressanti e gravi prima dell’insorgenza della malattia. Questo legame è possibile, anche se è bene ricordare che la maggior parte delle malattie può essere legata a eventi stressanti. Lo stress è un fattore generico che, indebolendo il sistema immunitario, favorisce l’insorgenza di vari disturbi e malattie, compresa quella di Parkinson.

La diagnosi

È difficile fare una diagnosi precoce della Psp perché i sintomi sono molto vaghi e spesso simili a quelli della malattia di Parkinson o dell’Alzheimer. La chiave per confermare la diagnosi di Psp è da ricercarsi nell’andatura instabile già in fase iniziale e nella difficoltà a muovere gli occhi: un segno caratteristico della malattia, che compare generalmente 3-4 anni dopo l’esordio. Il sospetto di Psp può essere confermato tramite i reperti delle neuroimmagini ottenute con la risonanza magnetica.

Terapia e prognosi


Non esiste, ad oggi, alcun trattamento efficace e nemmeno una terapia sintomatica che controlli i sintomi motori.

La Psp è una malattia progressiva, che nel giro di pochi anni determina una grave invalidità e conduce alla morte. In media il paziente è costretto su una sedia a rotelle dopo 5 anni di malattia e, in base ai dati disponibili presso il Centro Parkinson Icp, decede dopo 8 anni, anche se vi sono casi documentati di una sopravvivenza superiore. Contribuiscono alla prognosi infausta le cadute, che possono comportare gravi fratture, e i problemi di deglutizione e immobilità, che predispongono a infezioni gravi come la polmonite.

Differenze con la malattia di Parkinson

Compromissione della funzione motoria con lentezza dei movimenti, rigidità e compromissione dell’equilibrio. Sono i sintomi fondamentali parkinsoniani, comuni anche alla Psp. Tuttavia, mentre nella paralisi sopranucleare progressiva la compromissione dell’equilibrio si manifesta già nelle fasi iniziali della malattia, nel Parkinson compare nelle fasi molto avanzate. Inoltre la Psp è caratterizzata dall’incapacità di muovere correttamente e in maniera sincrona gli occhi, soprattutto in senso verticale.

Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale è più ampio nella Psp, con interessamento del cervelletto, responsabile della coordinazione dei movimenti, e del tronco encefalico dove sono posti i centri nervosi responsabili della regolazione automatica delle funzioni vitali (cuore, respirazione, ecc.). Nella Psp la proteina che si accumula è la tau, mentre nella malattia di Parkinson è la alfa-sinucleina.

Intervista al Professor Gianni Pezzoli, direttore del Centro Parkinson di Milano, presidente dell’Associazione italiana parkinsoniani (Aip) e presidente della Fondazione Grigioni per il morbo di Parkinson.

Professore, quali sono gli obiettivi del primo studio clinico italiano sull’impiego delle cellule staminali per il trattamento del parkinsonismo grave?


Lo studio ci permette di operare su una casistica piuttosto ampia, con delle metodologie molto standardizzate e delle tecniche molto sofisticate di isolamento di cellule. Obiettivo dello studio è verificare se le cellule staminali mesenchimali del paziente, usate in modo autologo, cioè sul paziente stesso, siano in grado di rallentare la progressione della malattia e ridurre i sintomi che compromettono una vita normale.

In relazione alle cellule staminali, ci sono delle evidenze scientifiche sul loro reale beneficio e sulle possibili applicazioni per le malattie di tipo neurodegenerativo?

Nei modelli animali con malattia di Parkinson è stato già dimostrato che le cellule somministrate riescono a raggiungere le aree cerebrali colpite dalla malattia, influenzando positivamente il tessuto circostante e riducendo la morte cellulare. Negli ultimi anni sono stati poi pubblicati diversi studi sul trapianto autologo di cellule staminali mesenchimali in alcuni tipi di parkinsonismi, tra cui la malattia di Parkinson. Non ci sono invece ad oggi evidenze scientifiche che riguardano la Psp.

Che cosa rappresenta oggi per i pazienti l’impiego di cellule staminali per le malattie di tipo neurodegenerativo?

Il possibile impiego delle cellule staminali per le malattie neurodegenerative rappresenta una grande speranza per i pazienti. Siamo convinti che questo tipo di "terapia riparativa" dell’encefalo permetterà in futuro di poter utilizzare queste cellule a livello cerebrale, anche per la riparazione di piccoli danni. Il nostro obiettivo è mettere a punto una tecnica innovativa e all’avanguardia, supportata da un’organizzazione di persone e strutture che ci consentano di lavorare in equipe, cercando di raggiungere i migliori risultati possibili.

Ad oggi, questa metodica non porta, ovviamente, alla guarigione, ma potrebbe in futuro rappresentare una terapia coadiuvante per una riduzione dei sintomi della malattia.

È vero che molti pazienti si recano all’estero nella speranza di una possibile e definitiva guarigione?

Una percentuale pari al 50% dei pazienti affetti di Psp chiede di andare all’estero per sottoporsi a infusioni con cellule staminali, sia a uso autologo che eterologo. Tra questi, sono circa il 10% quelli che riescono a partire. Questo turismo sanitario riguarda principalmente la Germania, il sud America e la Cina. I costi dei trattamenti sono piuttosto elevati e variano dai 10mila ai 40mila euro a seduta. Tenuto conto che sono necessarie dalle 3 alle 5 sedute, è evidente quanto siano onerosi i costi da sostenere. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi inefficaci, che espongono i pazienti a importanti rischi come infezioni o encefalopatie, poiché le procedure utilizzate non sempre sono controllate e il più delle volte non rispondono neanche ai minimi standard sanitari.

Intervista a Rosaria Giordano, direttore tecnico della Cell Factory "Franco Calori" della fondazione Irccs Ca’ Granda ospedale maggiore Policlinico di Milano.

Direttore, tecnicamente come verrà effettuato il prelievo delle cellule staminali e come saranno infusi i pazienti?

Le cellule staminali multipotenti mesenchimali saranno ottenute dal midollo osseo dei pazienti stessi. Per prelevare il midollo osseo si effettuerà un’aspirazione dall’osso del bacino, al cui interno è infatti contenuto il sangue midollare, molto ricco di cellule staminali. Le cellule saranno poi sottoposte a una fase molto complessa e delicata in cui saranno mantenute in vitro in presenza di terreni particolari. Una volta somministrate al paziente, le cellule mesenchimali staminali multipotenti svolgeranno la loro funzione biologica di riparazione del tessuto cerebrale.

Dopo l’infusione cosa succede alle cellule staminali che raggiungono il sistema nervoso?

È stato già dimostrato in modelli animali di malattia di Parkinson che le cellule somministrate riescono a raggiungere le aree cerebrali colpite dalla malattia e influenzano positivamente il tessuto circostante, riducendo la morte cellulare. Riguardo al meccanismo responsabile di questo effetto, è stato evidenziato come le cellule staminali multipontenti siano in grado di secernere sostanze che agiscono sul tessuto sano preservandolo dal danno. Alcuni dati indicano anche la possibilità di altri meccanismi, come il trasferimento di mitocondri, organelli cellulari incaricati di fornire energia alle cellule e di metabolizzare sostanze nocive, e di altre piccole molecole.

Quali pazienti saranno reclutati?

Nello studio italiano saranno arruolati venti pazienti affetti da Psp, con età superiore a 40 anni e che non rispondono alla terapia farmacologica. Per l’inserimento nello studio, i pazienti saranno attentamente valutati dai medici del Centro Parkinson degli Istituti clinici di perfezionamento.

In quanto tempo pensate di poter evidenziare i primi risultati dello studio?

Entro il primo anno dall’avvio dello studio potremmo avere una prima valutazione a breve termine (a sei mesi dal trattamento) su un primo gruppo di pazienti. La valutazione definitiva è quindi prevista a un anno e mezzo dal trattamento.

Esistono già delle evidenze scientifiche sull’efficacia delle cellule staminali nei pazienti con malattie neurodegenerative come il Parkinson?

Negli ultimi anni sono stati pubblicati tre lavori clinici che suggeriscono che il trapianto autologo di cellule staminali mesenchimali raccolte dal midollo osseo sia ben tollerato ed efficace nei parkinsonismi:

- Uno studio in 29 pazienti con un tipo raro di parkinsonismo (atrofia multi sistemica). Undici dei 29 pazienti hanno ricevuto un trapianto di cellule staminali mesenchimali per via intra-arteriosa una volta e poi per via endovenosa una volta al mese per 3 mesi. Dopo 1 anno, nel gruppo trattato è stata conseguita una stabilizzazione motoria, mentre nel gruppo non trattato vi è stato un significativo peggioramento.

- Uno studio in 7 pazienti con malattia di Parkinson grave in cui cellule staminali mesenchimali sono state trapiantate nella zona ventricolare sottolaterale del cervello tramite chirurgia. I pazienti sono stati seguiti per 10-36 mesi. Tre dei pazienti hanno presentato un miglioramento della funzione motoria. Due dei pazienti sono stati in grado di ridurre il dosaggio della terapia. Non sono stati segnalati eventi avversi gravi. Le immagini della risonanza magnetica non hanno evidenziato cambiamenti significativi.

- Uno studio condotto da radiologi interventisti, che hanno sottoposto 53 pazienti con malattia di Parkinson a un trapianto di cellule mononucleate di midollo osseo per via intra-arteriosa. Solo 4 pazienti hanno ricevuto un secondo impianto. Non si è verificata alcuna complicazione importante. I pazienti hanno presentato miglioramenti significativi dei punteggi mediani relativi alla gravità della malattia. Il tempo fino al miglioramento è variato da 24 ore fino a 3 mesi dopo l’impianto.


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Fonte:
telemeditalia.it


Edited by francesina63 - 25/4/2018, 17:34
view post Posted: 24/12/2012, 00:03     +1Uomini e Donne: omaggio a Giuseppe Grieco (morto a 90 anni), Rosetta commossa con Maria De Filippi - L'Angolo dei Ricordi

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GIUSEPPE DI UOMINI E DONNE E’ MORTO – E’ morto Giuseppe di Uomini e Donne, il pioniere della trasmissione di Maria De Filippi. Con Giuseppe e Rosetta è nata la formula vincente del trono over, tanto amato dal pubblico. Giuseppe lo conoscevano tutti come Giuseppe di Uomini e Donne, proprio come le rockstar o i nuovi vip dell’era moderna noti solo con il nome. Nessun cognome, era sufficiente solo il nome per rendere l’idea del personaggio. Ad annunciare la morte di Giuseppe è il sito ufficiale di Uomini e Donne: “Ci mancherai tanto – si legge – Noi speriamo, in questi anni, di averti regalato un po’ di vita, tu ci hai regalato tanti sorrisi. Un bacio da tutti noi: Maria e la redazione di Uomini e Donne“.

GIUSEPPE DI UOMINI E DONNE – Giuseppe era considerato lo scapolo d’oro di Uomini e Donne. Il suo personaggio era nato il 21 novembre 2009 quando si era presentato a C’è posta per te in cerca della sua prima cotta, Rosa, cognata di Rosetta. Con Giuseppe e Rosetta, Maria De Filippi comincò a pensare all’idea di un trono over e così il lunedì successivo la redazione di Uomini e Donne comincò a fare i provini per reclutare over 60. E così è nata la formula vincente del trono over con Giuseppe in cerca dell’anima gemella e Rosetta in veste di opinionista. Sin dalle prime puntate, il trono over ha riscosso un grande successo e Giuseppe, insieme a Rosetta, è sicuramente uno dei personaggi più amati. Nonostante l’età avanzata, Giuseppe non si è mai accontentato di sistemarsi con la prima arrivata. Negli anni della trasmissione ha cambiato almeno una decina di donne e con quasi tutte ha provato l’esperienza della convivenza. Tra le sue storia più importanti, indimenticabile è stata quella con Marisa con cui ha vissuto per un periodo a Rionero fino a quando il carattere forte e polemico di Giuseppe non ha rovinato quell’amore così puro e sincero. Perchè, nonostante l’avanzarsi dell’età, Giuseppe è sempre stato un tipo forte e determinato. Non si è mai accontentato di cominciare una relazione telefonica ma ha sempre preteso di dare vita ad una vera e propria relazione. Vicino ai 90 anni, Giuseppe è sempre stato uno dei più corteggiati di Uomini e Donne. Per lui sono arrivate in studio donne da tutta Italia, spesso anche molto più giovani di lui. Il pallino fisso di Giuseppe era convincere la corteggiatrice a trasferirsi a casa sua a Rionero, dove Giuseppe aveva la sua vita e le sue cose da cui non voleva separarsi.

ADDIO A GIUSEPPE DI UOMINI E DONNE – Giuseppe non è riuscito a trovare il grande amore ma sicuramente per lui l’esperienza a Uomini e Donne è servita per trascorrere qualche ora di spensieratezza in compagnia di un gruppo di persone che ha sempre cercato di farlo star bene e di trovargli davvero una donna che si prendesse cura di lui. In molti hanno anche deriso gli anziani che cercano il grande amore da Uomini e Donne. Ma forse, tutti noi, da Giuseppe, Rosetta e tutti i partecipanti al trono over dovremo imprare che cos’è la voglia di vivere e il coraggio di non arrendersi mai e continuare a credere nel futuro. Giuseppe lo ha fatto e siamo sicuri che questi ultimi anni vissuti a Uomini e Donne lo hanno reso un uomo meno solo e sicuramente più felice. Addio Giuseppe.


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Fonte:
gossipetv.com


Edited by francesina63 - 8/8/2015, 18:21
view post Posted: 8/11/2012, 08:50     +1La lettera che non scriverò mai - Fiorella Mannoia - Musica Italiana

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Dall' Album "Canzoni nel Tempo"

uscito il 10 Novembre 2007:

La lettera che non scriverò mai



Fiorella Mannoia

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Testo Canzone:

La lettera che non scriverò mai


Il tempo scorre e sta venendo sera
ti sto cercando con la fantasia
con una specie di felicità
sto già pensando a te.
Tra le diverse direzioni prese
verso paesi irraggiungibili
ed io nascosta tra le mie difese
sto ricordando te.
E se l'immagine è confusa
il tuo colore non sbiadisce
e sta parlandomi di te
questa giornata che finisce qui.
Domani cambiano l'arredamento
e forse cambio lentamente io
ma dentro a questo nuovo mutamento
ho già nascosto te.
Oggetti qui disordinatamente
dovrei decidermi a buttarli via
ma qualche cosa misteriosamente
mi riporta a te.
Una finestra che si chiude
ma sto guardando tra le tende
e mi sorprende la città
che ti cerca come faccio io;
e se il cervello prende il sopravvento
nasconde voci da buttare via
ma tira un vento che conosco già
mi sembra nostalgia


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Edited by francesina63 - 15/1/2019, 14:59
517 replies since 16/1/2007